Frate Rufino (accoglienza)

Capitolo IV: Conversione e riconciliazione - purezza di cuore

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La parabola della pecorella smarrita ci introdurrà alla cosiddetta divina misericordia. Ci farà scoprire anche quali sono le virtù che devono essere particolarmente praticate per restare in stato di grazia. In seguito, dei nuovi episodi della vita di Francesco ci permetteranno non soltanto di conoscerlo meglio, ma anche di scoprire che cosa egli intenda per beatitudine: beati i puri di cuore, perchè vedranno Dio. Infine, la lettura ed i commenti sugli articoli 7 e 12 della nostra regola ci permetteranno di definire e di approfondire cio’ che Cristo definisce come il nostro bene più prezioso: la nostra anima.

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ECCO, IO STESSO CERCHERO’ LE MIE PECORE E NE AVRO’ CURA

L’immagine del «re - pastore» si ritrova frequentemente nella Bibbia * Per esempio in Ezechiele 34 da cui è tratto il titolo di questa prima parte di capitolo (34 11). In Geremia, ai capitoli 2, 3 10, 23, in Zaccaria 11, Salmi 23 et 80, .... Ricordiamoci che le immagini che il Signore utilizza per rivelarsi agli uomini, sono molto spesso delle immagini della vita quotidiana delle persone a cui si rivolge. Possiamo, cosi’, capire che questo procedimento permette una migliore comprensione da parte degli ascoltatori. Siccome il popolo ebraico era un popolo di nomadi in cui le greggi facevano veramente parte della vita di ciascuno, ritroviamo sovente dei paragoni tra la vita del popolo di Dio e la vita di un gregge di pecore condotto da un pastore. Anche Gesù si servirà di quest’immagine, in particolare nella parabola della pecorella smarrita che ci viene riportata da San Matteo (Mt 18 12-14) e da San Luca (Lc 15 3-7). Nel libro di Ezechiele vengono utilizzati altri due termini per riferirsi alle pecore: «sbandate» e «disperse» * I due termini sono utilizzati da Ezechiele e giustapposti nella profezia contro i pastori di Israele «voi non avete ricondotto le pecore disperse, non siete andati in cerca delle sbandate» Ez 34 4.. Questa differenza sottolinea la misericordia di Dio in tutti i casi possibili che possono presentarsi. La sua misericordia è senza limiti. Le pecore «sbandate» sono quelle che hanno abbandonato il giusto cammino, ma che, alla fine,lo possono ritrovare facendo un piccolo sforzo. Basta solo una buona carta geografica ed una bussola per ritorvarlo. Le pecore «disperse», invece, sono veramente perdute, per loro stesse e per gli atri. Potremmo dire che sono irrecuperabili. Ecco dunque che per i due tipi di pecore, siano esse sbandate o disperse, la missione di Cristo Redentore, Salvatore dell’umanità, si compie senza misura. Ma abbiamo parlato abbastanza; gustiamoci, piuttosto, questa magnifica parabola * Dal Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, tomo 4, cap. 94, pp. da 43 a 46 (estratti)..

Parabola della pecorella smarrita

Gesù parla alla folla. Salito lungo la riva di un torrente alberato, parla ad una folla numerosa, sparsa in un campo in cui il grano è stato tagliato e che presenta l’aspetto desolante delle stoppie bruciate dal sole. E’ sera. Scende il crepuscolo, ma la luna già sale. Una bella e chiara sera d’inizio estate. Delle greggi rientrano nell’ovile ed il tintinnio dei sonagli si mischia al canto dei grilli e delle cicale.

Gesù fa un paragone con le greggi che passano. Dice: « Vostro Padre è come un pastore attento. Cosa fa il buon pastore? Cerca dei pascoli buoni per il suo gregge, dove non si trovano né cicuta, né piante pericolose, ma dei gradevoli trifogli, delle erbe aromatiche e delle cicorie amare, ma buone per la salute. Cerca un posto dove si possa trovare, insieme al cibo, il fresco, un ruscello dalle acque limpide, degli alberi ombrosi, un luogo dove non si nascondono delle vipere in mezzo al verde. Non si preoccupa di trovare dei pascoli più grassi, perché sa che nascondono facilmente dei serpenti in agguato e delle erbe dannose, ma preferisce i pascoli di montagna, dove la rugiada rende l’erba pura e fresca e dove il sole fa fuggire i rettili, là dove si trova l’aria buona, pulita dal vento, non pesante e malsana come l’aria della pianura. Il buon pastore osserva le sue pecore una ad una. Le cura se sono malate, le fascia se sono ferite. Sgrida quella che si ammalerebbe per la sua golosità. Fa spostare quella che si ammalerebbe a restare in un posto troppo umido o troppo soleggiato. Per quella che ha poco appetito, cerca delle erbe acidule, aromatiche ed appetitose e gliele porge con la mano, parlandole come ad una persona amica.

Cosi’ si comporta il buon Padre che è nei cieli con i suoi figli che errano sulla terra. Il suo amore è il bastone che li unisce. La sua voce serve loro da guida. I pascoli sono la sua Legge. Il suo ovile è il Cielo.

Ma ecco che una pecora lo lascia. Quanto lui la amava! Ella era giovane, pura, candida, come una nube leggera in un cielo di aprile. Il pastore la contemplava con tanto amore, pensando a tutto il bene che poteva farle e a tutto l’amore che avrebbe potuto ricevere da lei. Ed ella lo abbandona.

Un tentatore è passato lungo il sentiero che borda il pascolo. Non porta una casacca austera, ma un vestito di mille colori. Non porta la cintura di pelle con l’ascia ed il coltello appesi, ma una cintura d’oro, da cui pendono dei sonagli dal suono argentino, melodiosi come la voce di un usignolo, e delle ampolle di essenze inebrianti… Non ha il bordone con cui il buon pastore riunisce e difende le pecore. Questi, se il bordone non bastasse, sarebbe pronto a difenderle con l’ascia od il coltello, anche a rischio della sua stessa vita. Ma questo tentatore che passa porta in mano un turibolo brillante di pietre preziose, da cui sale un fumo che diffonde insieme puzza e profumo, che stordisce cosi’ come brillano le sfaccettature delle pietre preziose, oh, cosi’ false! Avanza cantando e lascia cadere delle manciate di un sale che brilla sulla strada oscura…

Novantanove pecore lo guardano senza muoversi.

La centesima, la più giovane e la più cara, fa un balzo e sparisce dietro al tentatore. Il pastore la chiama, ma lei non ritorna. Lei va, più veloce del vento, a raggiungere quello che è passato e, per mantenere le forze nella sua corsa, mangia quel sale che le penetra dentro e la brucia di uno strano delirio che la spinge a cercare le acque nere e verdi nell’oscurità delle foreste. Ed ella, seguendo il tentatore, si immerge nelle foreste, vi penetra, sale, scende e cade… una, due, tre volte. Ed una, due, tre volte, ella sente attorno al collo il viscido abbraccio dei rettili e, assetata, beve delle acque sporche; affamata, morde delle erbe che brillano di una bava disgustosa.

Che cosa fa, nel frattempo, il buon pastore? Rinchiude in un luogo sicuro le novantanove pecore fedeli e poi si mette in cammino e non si ferma fino a quando non trova delle tracce della pecorella smarrita. Siccome ella non torna a lui, lui va verso di lei. La vede da lontano, ubriaca e abbracciata dai rettili, talmente ubriaca che non sente nostalgia del volto che la ama e ride di lui. Ed egli la rivede, colpevole di essere entrata come una ladra nella casa altrui, talmente colpevole che non osa più guardarlo in faccia… Tuttavia il pastore non si stanca… e va. La cerca, la cerca, la segue, non le dà tregua. Piange sulle tracce della smarrita: brandelli di vello; brandelli di anima; tracce di sangue; delitti di ogni tipo; immondizie; testimonianze della sua lussuria. Egli va e la raggiunge.

Ah! Ti ho trovata, mia amata! Ti ho raggiunta! Quanta strada ho fatto per te, per ricondurti all’ovile! Non curvare la tua fronte macchiata. Il tuo peccato è sepolto nel mio cuore. Nessuno, tranne me che ti amo, lo conoscerà. Io ti difendero’ contro le critiche degli altri, ti copriro’ con la mia persona per farti da scudo contro le pietre degli accusatori. Vieni.

Sei ferita? Oh! Mostrami le tue ferite. Io le conosco, ma voglio che tu me le mostri, con la fiducia che avevi quando eri pura e quando mi guardavi, me, il tuo pastore ed il tuo Dio, con occhi innocenti. Eccole. Hanno tutte un nome. Oh! Come sono profonde! Chi te le ha fatte, cosi’ profonde, queste ferite in fondo al cuore? Il tentatore, io lo so. Lui non ha né bordone né ascia, ma ferisce più profondamente con il suo morso velenoso e, dopo di lui, sono i falsi gioiellli del suo turibolo, che ti hanno sedotta con il loro scintillio… e che erano uno zolfo infernale che si esibiva alla luce per bruciarti il cuore. Guarda! Quante ferite, quanto vello lacerato, quanto sangue, quanti rovi!

Oh! Povera piccola anima illusa! Ma dimmi: se ti perdono, mi amerai ancora? Ma dimmi: se ti tendo le braccia, ti ci getterai? Ma dimmi: hai sete di un amore buono? E allora: vieni e ritorna alla vita. Torna nei pascoli santi. Tu piangi. Le tue lacrime unite alle mie lavano le tracce del tuo peccato ed Io, per nutrirti, siccome tu sei sfinita a causa del male che ti ha bruciata, io mi apro il petto, mi apro le vene e ti dico: «Nutriti, ma vivi!» Vieni, che io ti prenda in braccio. Andremo più velocemente ai pascoli santi e sicuri. Dimenticherai tutto di quest’ora di disperazione e le tue novantanove sorelle, le buone, giubileranno per il tuo ritorno. Io ti dico, mia pecorella smarrita, che ho cercato venendo da cosi’ lontano, che ho ritrovato, e che ho salvato, che si fa una festa più grande, tra i buoni, per una pecorella smarrita che ritorna, che per le novantanove giuste che non si sono allontanate dall’ovile. »

Padre o madre, sacerdote, educatore, o semplicemente amico, ciascuno di noi non è chiamato, ciascuno nell’ambito della missione che gli è propria, ciascuno con i talenti che ha ricevuto, ad essere «buon pastore»? Oppure, non occupiamo noi sovente il posto della pecorella smarrita? Analizziamo quindi il comportamento di ogni personaggio della parabola affinchè noi stessi sappiamo seguire Colui che è la Via, la Verità e la Vita, oppure, in funzione delle circostanze della vita, aiutare il nostro prossimo a cercare ed a seguire questa Via, questa Verità e questa Vita.

Il buon pastore

Innanzitutto, il pastore è «buono». La bontà è una qualità superiore alla sapienza, poiché richiede l’amore. Inoltre, tra le varie virtù di cui fa prova il buon pastore, la prima che noi troviamo è proprio questa: l’amore. Le altre quattro virtù, che la Chiesa qualifica come virtù cardinali * Le virtù cardinali, che sono la prudenza, la giustizia, la forza e la temperanza, sono come i quattro punti cardinali che permettono al marinaio di ben orientarsi in mare quando li conosce e ne fa buon uso. Sant’ Agostino precisava a questo proposito: «Vivere bene non è altra cosa che amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e in ogni azione. E’ conservare per Dio un amore integro (attraverso la temperanza) che nessuna avversità possa intaccare (caratteristico della forza), è obbedire a lui solo (e questa è la giustizia), vegliando per discernere ogni cosa, per paura di lasciarsi sorprendere dall’inganno e dalla menzogna (e questa è la prudenza)». Saint Augustin, mor. eccl. 1, 25, 46., trovano il loro inizio ed il loro compimento nella virtù teologale della carità.L’amore: il buon pastore ama le sue pecore. Egli non si accontenta di conoscerle «pressappoco», «all’incirca» o «all’ingrosso». No! Egli le conosce una ad una e quando una di esse è malata, la cura. Se una si perde, va a cercarla. Il buon pastore non dice a se stesso: «Bah! Una perduta, dieci trovate». No! Ciascuna ha un valore ai suoi occhi, tanto che se una di esse si perde, parte senza indugio alla sua ricerca. Segue le sue tracce. Sa bene che la sua pecorella è infelice e che soffre. Ci soffre lui stesso, per amore per lei. Piange a saperla infelice. Ma quando la ritrova, allora, che gioia! Che gioia, malgrado tutto quello che la pecorella gli ha fatto passare: l’imprudenza che ha dimostrato seguendo il tentatore; l’ingiustizia che gli ha testimoniato abbandonandolo, lui che è buono e che le dava tutto cio’ di cui aveva bisogno; la debolezza, nella corsa dietro al tentatore, di lei che, per cercare di darsi un po’ di forza, ha gustato il sale amaro del peccato; la sua intemperanza per l’attrazione delle tenebre. Per ridarle la salute, la stessa salute delle altre novantanove pecore, le perdona tutti i suoi errori e si da a lei come cibo. Ah! Di quale amore fa prova questo buon pastore!

La temperanza * La temperanza é la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati. Essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione e non segue il proprio «istinto» el la propria «forza assecondando i desideri» del proprio «cuore». CEC 1809.: il nostro buon pastore, nel ruolo che gli compete, mostra per le sue pecore dell’equilibrio nell’uso dei beni creati. Per loro, cerca dei buoni pascoli, dove non vi sono né cicuta né piante pericolose, ma dei gradevoli trifogli e delle erbe buone per la salute. Cerca un posto dove si trovano, oltre al cibo, della frescura, un ruscello dalle acque limpide e degli alberi che fanno ombra. Non si preoccupa di trovare dei pascoli più grassi, che possono sembrere migliori a prima vista, perché sa che nascondono facilmente dei serpenti in agguato e delle erbe dannose. Il buon pastore agisce quindi innanzitutto attraverso la prevenzione e talvolta anche, per il bene della pecorella, attraverso l’uso dell’ autorità conferitagli dal suo compito. Per esempio, se una pecorella si ammala per la sua golosità, non esita ad alzare la voce per richiamarla alla moderazione.

La forza * La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. CEC 1808.: il buon pastore mostra con quale costanza persegue il bene. Cosi’, quando si mette in cammino per ritrovare la pecorella smarrita, non si ferma finché non trova le sue tracce. Siccome lei non ritorna verso di lui, lui va verso di lei. Quando la vede cosi’ invischiata dai rettili, e quando lei stessa ride di lui, non si stanca. La cerca, la cerca, la segue, non le dà tregua. Teme forse, al pari dei farisei che fuggono i peccatori per paura di venir insudiciati dal loro peccato, di sporcarsi andando a cercare la sua pecorella in mezzo all’abbraccio vischioso dei rettili? No! Al contrario. Non esita a rischiare la sua vita per salvare quella della sua pecorella. «Non sono venuto per i sani, ma per i malati» (Mt 9 12) ribattera Gesù ai suoi detrattori.

La giustizia * La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo cio’ che loro è dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata «virtù di religione». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabiblire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune. CEC 1807.: il buon pastore ha un alto senso della giustizia. In effetti, gli viene affidata una missione: quella di custodire le pecore. E’ giusto che la compia con la più grande diligenza. E’, d’altronde, quello che fa quando cerca un posto dove si trovano oltre al cibo, tutti gli altri elementi di cui le pecore hanno bisogno: freschezza, acque limpide, ombra… Quando il buon pastore parte alla ricerca della pecorella smarrita, si preoccupa, prima di partire, di assicurare la sicurezza delle novantanove pecorelle fedeli. Infine, quando ritrova la pecorella smarrita, la disprezza, l’umilia agli occhi di tutti per vendicarsi della sua infedeltà? No! Se la stringe al petto e le parla con dolcezza. Le assicura la sua difesa contro le critiche degli altri, contro le pietre degli accusatori. In effetti, il peccato della pecorella smarrita non gli fa perdere di vista la sua missione di proteggere le sue pecore da ogni male, sia che provenga da un tentatore, che dagli accusatori.

La prudenza * La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni corcostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo… Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. E’ detta «auriga virtutum» - cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. E’ la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. CEC 1806.: il buon pastore fa prova di molta prudenza. Non mette le sue pecore a pascere nel primo prato venuto. No, al contrario. Comincia col cercare dei buoni pascoli per le sue pecore, dei pascoli che permetteranno loro di crescere in tutta tranquillità. Quando parte alla ricerca della pecorella smarrita, lascia forse le altre completamente abbandonate a se stesse, con tutti i lupi che girano intorno? No. Chiude in un luogo sicuro le novantanove pecore fedeli , ossia, da’ loro i mezzi di restare nell’amore del loro pastore. Il prefazio detto «degli Apostoli» riassume bene questa prudenza amorosa: «Tu non abbandoni il tuo gregge, Pastore eterno, ma tu lo guardi, attraverso gli Apostoli, sotto la tua costante protezione; tu lo dirigi ancora attraverso questi stessi pastori che lo conducono oggi nel nome del tuo Figlio…»

Il tentatore

Nel capitolo II, avevamo visto quali sono le forme di tentazione che Satana utilizza per cercare di rapire la nostra anima a Dio. Ricordiamoci che esistono tre forme di tentazione: il lato materiale della natura attraverso gli appetiti della carne e della gola, il lato morale e infine il lato spirituale. E’ questa ultima tentazione che interessa di più Satana, siccome le due prime forme sono sostanzialmente dei mezzi per riuscire ad imprigionare l’uomo a traverso la terza. Nella parabola della pecorella smarrita si trovano tutti gli argomenti sviluppati da Belial, ossia tutte le astuzie e le innumerevoli menzogne per arrivare ai suoi fini. All’abito austero del pastore, il tentatore comincia con l’opporre un abito dai mille colori. Agli accessori utilizzati dal pastore nell’esercizio della sua missione, ossia una cintura di pelle con un’ascia ed un coltello appeso, oppone una cintura d’oro, da cui pendono dei sonagli dal suono argentino, melodioso come la voce dell’usignolo, e delle ampolle di essenze inebrianti. Al bordone con il quale il pastore riunisce e difende le sue pecore, oppone un turibolo tutto brillante di pietre preziose. Tutto questo sembra benigno, senza importanza, ma se uno si lascia prendere, ecco il seguito: il tentatore canta e lascia cadere delle manciate di un sale che brilla lungo l’oscuro cammino.

Perché la via, fin dall’inizio, è oscura. Vi si distingue questo strano sale che brilla e che mostra una strada da seguire, ma alla fine uno ignora dove mette i piedi. Se, per riprendere forza, gustiamo il sale del tentatore, ossia il sale del peccato, otteniamo un risultato inverso a quello ricercato. Invece di riprendere forza, la forza ci abbandona: diventiamo più deboli, più vulnerabili, pronti a cadere nella seconda tentazione. Infatti, la strada oscura, si orienta, a poco a poco, verso l’oscurità delle foreste. Là non c’è più alcuna luce. Uno viene assalito dai rettili e non puo’, alla fine, farcela da solo. Lo spirito non è più a capo del corpo, ma il corpo comanda lo spirito. Ora, se il corpo risulta essere un buon servitore dell’anima quando siamo in grado di dargli delle buone cose adatte a lui, è un cattivo maestro per lo spirito. Se il nostro spirito è annichilito dal corpo, allora noi diventiamo affamati ed assetati di tutto cio’ che ci manca per essere felici. Gustiamo allora a delle erbe che brillano di una bava disgustosa. Che cosa succede infine? Noi non sentiamo più l’amore di Dio che ci ama. Noi non sentiamo più l’amore delle persone che ci amano. E anche se Dio o i nostri vecchi amici si manifestano a noi, noi ridiamo di loro, credendoci più forti, più liberi di loro, più felici di loro. Cosa succede in realtà? Noi siamo come un topolino che entra in una trappola piena di formaggio e che prende in giro i suoi vecchi amici che sono rimasti all’esterno, perchè lui puo’ riempirsi la pancia con tutto il formaggio posato li’ dentro dalla persona che ha installato la trappola. Ma, una volta che il topolino ha mangiato il formaggio, magari anche a sazietà, qual’è il suo avvenire? In ogni caso, è progioniero, schiavo della persona che ha installato la trappola. Questa puo’ ucciderlo, oppure dimenticarselo nella trappola. Se se lo dimentica, è la morte lenta per fame. E’ solo. E senza un soprassalto da parte sua, unito ad un aiuto esterno, lo aspetta una morte certa.

La pecorella smarrita

La povera pecorella smarrita non mostra nessuna delle virtù di cui fa prova il suo buon pastore. Manca di prudenza quando vede il tentatore. Non dice a se stessa, come le altre pecore: «Lasciamo passare quest’uomo strano dall’aspetto cosi’ attraente; non occupiamocene». Al contrario, la nostra povera pecorella si lascia andare come il topolino che vede il foramggio nella trappola. Crede a cio’ che puo’ sembrare della felicità e, in più, ad una felicità senza sforzo. Basta chinarsi per mangiare. Non aveva tutto il necessario nei pascoli del suo pastore? Aveva tutto quello che le serviva, ma la piccola era golosa. Ne voleva sempre di più. Il fatto di non sapersi accontentare del necessario, significa mostrare dell’intemperanza. Allora la piccola pecora comincia col consumare qualcosa che all’apparenza non ha molta importanza, ma che non sazia e non disseta. Invece, il fatto di gustare quanto offerto dal tentatore, dà una fame terribile, una sete inestinguibile * In Francia c’è un vecchio proverbio che ben riassume questa ascensione del male nel cuore di una persona e suona pressappoco cosi’: «chi ruba un uovo ruba un bue» («qui vole un oeuf, vole une boeuf»), ossia, colui che, oggi, ruba un uovo, domani ruberà un bue. . Invece di dire a se stessa: «Devo tornare nei verdi pascoli del mio pastore», cosa che non sarebbe stato altro che giustizia verso di lui, la pecorella si sprofonda ancora di più nell’oscurità. Ella manca di forza nella tentazione. Affonda nelle acque nere e verdastre del peccato. Diventa prigioniera, schiava del suo peccato, a tal punto che quando il suo pastore la chiama, ride apertamente di lui: «Ma va, tu e i tuoi verdi pascoli! Va a vedere altrove se io ci sono!»

Dal punto di vista della pecorella, la separazione è totale. E’ separata da Dio, separata dagli altri e separata nel suo essere. In effetti, proprio come l’indemoniato del lago di Genezareth che si percuoteva il corpo con delle pietre, noi ritroviamo al contempo nella pecorella sia il carnefice che il suppliziato. Quale essere, in effetti, a meno di soffrire della malattia del sadomasochismo, è felice di farsi del male? La nostra pecorella è arrivata a questo punto: non ha più bisogno di nessuno per farsi del male. Ella si fa del male da sola. Il tentatore puo’ andare a tentare qualcun’altro. Il topolino è preso nella trappola.

Se non ci fosse stato un aiuto esterno in questo momento, se non ci fosse stato il buon pastore, per la pecorella sarebbe stata la fine. Sarebbe veramente persa, definitivamente persa. Allora il buon pastore la raggiunge. Ma questi non puo’ prenderla di forza, non puo’ trarla fuori dal suo peccato senza la sua adesione. Ha bisogno del consenso della pecorella. Bisogno di amore, bisogno di perdono, che devono esprimersi in maniera sensibile. Il buon pastore non puo’ farne a meno per aiutarla. Se la prendesse di forza, il risultato sarebbe effimero. Alla prima occasione la pecorella lo abbandonerebbe di nuovo per rituffarsi nel suo fango. Ah! se la pecorella conoscesse questo sussulto che talvolta alcune anime provano solamente sul loro letto di morte, allora la grazia di Dio sarebbe abbondante, e pure sovrabbondante. Ricordiamoci dei due lardoni crocifissi con Gesù. Uno dei due, criminale al pari dell’altro, confessa il suo errore e cerca pure di convertire il suo compagno di sventura: «Non temi Iddio, tu che soffri la stessa condanna! Per noi, è giustizia, perchè riceviamo degna pena dei nostri delitti; ma lui non ha fatto niente di male». E dice a Gesù: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno!». E Gesù gli risponde: «In verità ti dico, oggi sarai in Paradiso con me» (Lc 23 40-43).

Le novantanove pecorelle fedeli

Queste non hanno perso la bussola. E a ragione: praticano le quattro virtù cardinali. Quando il tentatore passa, lo guardano senza muoversi. Queste pecore fanno già la gioia del loro pastore. Sono fedeli, prudenti, amano il loro pastore e gli testimoniano il loro amore ascoltando la sua voce ed obbedendo ai suoi comandamenti. Potremmo pensare che abbiano il diritto di giudicare la loro sorella peccatrice. Assolutamente no. Né quando questa si è persa, né quando ritorna all’ovile. Le fanno forse la morale? No! Se ne astengono. Manifestano forse dei rimproveri al pastore dicendogli: «Nostra sorella si è rotolata nel fango dei maiali, non la vogliamo più con noi per paura che ci sporchi». No! Al contrario! Esse giubilano per il ritorno della sorella perduta, perché era perduta ed è stata ritrovata, era morta, ed è ritornata in vita. Queste novantanove pecorelle sono veramente buone e pure, perchè i buoni ed i puri non criticano. Mai. Comprendono.

BEATI I PURI DI CUORE, PERCHE’ VEDRANNO DIO

E’ cosi’ che si intitola la sedicesima ammonizione * Alcuni manoscritti danno come titolo alle Ammonizioni: «Cosi’ diceva San Francesco». In effetti, esse hanno origine dagli interventi che San Francesco faceva nelle riunioni dei fratelli, o capitoli. Dava loro «dei pareri, degli ordini, delle rimostranze» (3 S 57). La leggenda di Perugia parla di questi «colloqui con i fratelli» e ne dà alcuni esempi (71 et ss.). Noi ne conserviamo qualche testimonianza scritta che porta il titolo di Ammonizioni. Alcune Ammonizioni sono delle brevi considerazioni in forma di commento delle Scritture; altre sono delle esortazioni spirituali; altre infine, degli avvisi destinati a precisare qualche punto della Regola, dei «brevi commenti necessari al buon funzionamento della vita in fraternità» (1 C 32). Le Ammonizioni possono essere classificate in due gruppi piuttosto omogenei: gli Insegnamenti (da 1 a 12) e le Beatitudini (da 13 et ss.). Tutte, ma soprattutto queste ultime, meritano bene la definizione che ne dà padre Cuthbert: costituiscono il «Discorso della montagna» di san Francesco. Edizioni Francescane 1981, San Francesco d’Assisi Documenti, P. Théophile Desbonnets et P. Damien Vorreux, p. 39 (introduzione alle Ammonizioni). di Francesco. Ne diamo qui di seguito il testo, molto corto, perché é questo che ci introduce alla scoperta o all’approfondimento di cio’ che si definisce purezza di cuore.

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Hanno veramente il cuore puro coloro che disprezzano i beni della terra, cercano quelli del cielo e, cosi’ purificati da agni attaccamento dell’anima e del cuore, non cessano mai di adorare e di vedere altro che il Signore Dio vivo e vero.»

Tratteremo della virtù della purezza attraverso qualche aneddoto della vita di Francesco e dei suoi fratelli. Vedremo due passaggi in cui Francesco aiuta fratello Masseo. In seguito lo incontreremo tra gli abitanti di Siena. Infine, lo vedremo smascherare l’impostura di un fratello che passava per un santo. Vedremo, certamente, la purezza di cuore in Francesco. Ma Francesco si è sempre preoccupato di aiutare i suoi fratelli ed il suo prossimo ad orientare il loro cuore verso il Padre nostro che è nei Cieli. Lo vedremo dunque operare in questo senso.

Questi aneddoti della vita di Francesco fanno entrare in scena uno dei più cari compagni di Francesco: Fratello Masseo. Per assaporare meglio le pagine seguenti, cominciamo col presentare Fratello Masseo: nato a Marignano, vicino ad Assisi, Fratello Masseo riceve dal Signore un grande numero di qualità, sia fisiche che intellettuali. Grande, alto, si deve riconoscere che è piuttosto un bell’uomo. Possiede un solido buon senso. Il suo spirito è vivace, talvolta persino un po’ caustico. Ha il dono di aver sempre una battuta pronta e soprattutto, forse, una forma di eloquenza semplice e familiare per parlare di Dio. Tocca i cuori ed ha un vivo successo con coloro che lo ascoltano. Entra nell’Ordine nel 1210 o 1211. Finirà col diventare molto umile grazie al contatto con Francesco e dopo aver ricevuto da quest’ultimo qualche lezione ben meritata… * I racconti seguenti sono ispirati dai « Fioretti», capitoli 10 e 11, nei quali saranno inseriti altri testi (i riferimenti saranno allora precisati).

Per grazia di Dio

Vicino alla Porziuncola si trova un boschetto dove Francesco si ritira volentieri per pregare. Un giorno, dopo aver pregato a lungo in questo boschetto, torna verso la comunità. Mentre cammina, il suo volto resta come illuminato dalla meditazione. Anche se i suoi occhi guardano il sentiero per ordinare ai piedi di posarsi nel posto giusto, il suo sguardo è altrove, sempre in orazione. In quest’istante, Fratello Francesco viene interpellato da Fratello Masseo, che sta venendogli incontro. Francesco non si era accorto che qualche istante prima Fratello Masseo si era fermato per osservare meglio Francesco che veniva verso di lui. Mentre Fratello Masseo si rivolge a Francesco, il suo volto è ridanciano e la sua testa, mentre parla, va da destra a sinistra e viceversa, come per dire «non capisco!». Il tono della sua voce, quanto a lui, non ha niente di sprezzante o di altero. Parla come ad un amico a cui si puo’ dire assolutamente tutto, pure le domande più curiose, se non audaci. Perché la domanda che pone a Francesco comporta un pizzico di audacia: «Perché a te? Perché a te? Perché a te?». Francesco si ferma e scopre Fratello Masseo là, a qualche passo davanti a lui. Spalanca dei grandi occhi interrogativi. «Non capisco il senso della tua domanda. Che cosa vuoi dire con «Perché a te?» Il sorriso di Fratello Masseo si fa più largo e, aprendo le mani ed alzando le spalle precisa: «Io dico: perché tutti corrono dietro a te? Perché tutti vogliono vederti ed ascoltarti? Perché, infine, tutti quelli che ti hanno ascoltato, ed io ne faccio parte, cercano di obbedirti? Fisicamente, non sei un bell’uomo! Anche se sai leggere, non hai una grande scienza! E infine, non sei nobile! Com’è che ti succede, quindi, che tutti corrano dierto a te?»

Più di uno, sentendo questa domanda, si sarebbe contrariato perché, insomma, ognuno ha il suo amor proprio e non ama essere abbassato in tal modo. Ma per Francesco, non fa niente. Francesco, al contrario, prova gioia nel suo spirito, leva il suo volto verso il cielo e resta a lungo con l’anima elevata verso i cieli, come per attendere da Dio la risposta alla domanda. Fratello Masseo lo guarda, già quasi stupito del suo silenzio. Poi, lentamente, Francesco si inginocchia e rende lode e grazie a Dio. Si volge allora verso Fratello Masseo e gli dice: «Vuoi sapere perché a me? Vuoi sapere perché a me? Vuoi sapere perché tutti corrono dietro di me? La risposta a questa tripla domanda mi viene da questi occhi di Dio che contemplano i buoni ed i malvagi. Se egli avesse scelto un servitore molto bello, o un servitore sapiente, oppure un servitore proveniente dalla nobiltà, il mondo avrebbe potuto concludere che per uno di questi motivi le persone mi correvano dietro e che la bontà di Dio, la grazia di Dio, non erano in nulla la causa di tutto questo. No! Dio, nella sua bontà, ha scelto la più vile di tutte le sue creature. Per questa ragione mi ha scelto, per confondere la scienza del mondo e per confondere la nobiltà e la grandezza, affinché si sappia, ascolta bene questo, Fratello Masseo, che ogni virtù ed ogni bene vengono da Lui e non dalle creature. Mi ha scelto tra le sue creature per dire al mondo che nessuno puo’ gloriarsi in sua presenza, ma che chiunque si glorifica, si glorifichi nel Signore * «Ma Dio ha scelto cio’ che è senza sapienza nel mondo, per confondere i sapienti; e le cose deboli ha scelto Dio, per confondere le forti; e le cose umili del mondo e le disprezzate ha scelto Dio, e quelle che non sono nulla, per ridurre a nulla quelle che sono; affinché nessuno si possa vantare davanti a Dio. Orbene, è per mezzo di Lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale da parte di Dio è diventato per noi sapienza e giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto: «Chi si gloria, si glori nel Signore». 1 Co 1 27-31., al quale appartengono ogni onore ed ogni gloria per l’eternità.»

All’udire queste parole, a Fratello Masseo vengono le lacrime agli occhi e imperlano le sue guance. Evidentemente, non si aspettava tale risposta. Toccato nella sua anima per un tale abbandono a Dio, si inginocchia a sua volta davanti a Francesco e gli chiede: «Benedicimi, Fratello Francesco, e prega il Signore di darmi la santissima virtù dell’umiltà.»

Francesco guarda ora Fratello Masseo negli occhi e siccome ora sono molto vicini l’uno all’altro, entrambi inginocchiati, prende le mani di Fratello Masseo dicendo: «Beato il servitore che fa omaggio di ogni bene al Signore. Invece, colui che rivendica una parte per se stesso, questi nasconde in fondo a se stesso il denaro del Signore Dio e tutto cio’ che credeva di possedere gli sarà tolto * Adm 19. Rendere ogni bene al Signore.

Sulla strada di Siena

Francesco sceglieva sovente Fratello Masseo come compagno di viaggio per il fascino della sua parola e per la sua grande sapienza. Li ritroviamo entrambi, qualche tempo dopo l’episodio precedente, mentre camminano insieme per le strade della Toscana. Fratello Masseo cammina un po’ più avanti di Francesco. Poi si ferma all’incrocio di Poggibonsi che, venendo da Assisi, permette di andare in tre direzioni diverse: Firenze, Siena o Arezzo. Fratello Masseo si gira e dice: «Fratello, che strada dobbiamo prendere?» Francesco risponde: «Quello che Dio vorrà indicarci». A questa risposta Fratello Masseo scoppia a ridere e dice: «Ah, ah! E come facciamo per conoscere la volontà di Dio a questo proposito?» Francesco risponde: «Attraverso il segno che ti mostrero’; cosi’, per il merito della santa obbedienza, ti ordino di girare su te stesso, come talvolta fanno i bambini, in questo incrocio, nel punto preciso dove tu hai i piedi in questo momento. E non smettere di girare fino a quando te lo diro’ io.» Fratello Masseo spalanca gli occhi, ma, in virtù della santa obbedienza, si mette a girare in tondo in mezzo all’incrocio. Le persone che passano sorridono vedendo questo pezzo d’uomo che gira su se stesso come un bambino. Alcui, pure, non esitano a gridare quando Fratello Masseo, stordito, cade a terra. Ma questi, coraggiosamente e umilmente, si rialza e continua a girare, perché Francesco non gli dice di smettere. In un momento in cui Fratello Masseo gira molto velocemente, Francesco gli dice: «Fermati e non muoverti più.» Allora Fratello Masseo, in un ultimo sforzo per non cadere, smette di girare. Verso che lato sei girato? » Gli chiede Francesco. Fratello Masseo risponde: «Verso Siena». Francesco riprende: «E’ la strada che Dio vuole che noi prendiamo».

Allora Francesco e Masseo riprendono il loro cammino, Masseo sempre un po’ più avanti, e Francesco dietro. Mentre cammina, Fratello Masseo dice fra se: «Francesco è per lo meno molto originale ad avermi fatto girare cosi’, come un bambino, davanti a tutta quella gente che passava all’incrocio.» Tuttavia, non osa dire niente per rispetto verso di lui. Ma, diciamolo fin d’ora, non riesce molto bene a «digerire» il mezzo utilizzato per conoscere la volontà divina.

Mentre si stanno avvicinando a Siena, degli abitanti vengono loro incontro. Costoro sono stati avvertiti da alcuni viaggiatori più veloci di loro e che hanno annunciato questa novella: «Il sant’uomo di Assisi arriva con uno dei suoi compagni». La gente si getta ai piedi dei due frati minori, tutta sconvolta. «Venite, presto! Dei senesi si battono tra loro per una storia di donne, legata ad un’oscura storia di soldi. Ci sono già stati due morti e la storia rischia di continuare se non viene fatto nulla per riportare la pace.» Francesco e Masseo accelerano il passo e si dirigono nel cuore della battaglia. Grida, colpi, spargimento di sangue. Ecco l’orribile spettacolo che scoprono al loro arrivo. «Fermatevi, abitanti di Siena! Fermatevi ed ascoltate!» grida Francesco. «Ascoltate questa parabola».

Parabola degli sguardi rivolti alle donne

« Un re molto potente invia alla regina due messaggeri, uno dopo l’altro. Il primo, quando ritorna, si accontenta di trasmettere la risposta; questo significa che, come un saggio, ha fatto attenzione ai suoi occhi ed ha messo in pratica la parola dell’Ecclesiaste: «Volgi lo sguardo da una bella donna e non posarlo su una bellezza straniera» (Si 9 8). L’altro servitore ritorna a sua volta e dopo aver trasmesso rapidamente il suo messaggio, tesse l’elogio della bellezza della regina: «In verità, sire, ho visto la più bella tra tutte le donne; felice colui che la possiede!» Ma il re: «Servo malvagio, tu hai guardato la mia donna con occhi impudichi. E’ evidente che tu hai voluto possedere cio’ che hai guardato con cosi’ tanta attenzione.»

Il re fa allora chiamare il primo messaggero e gli chiede: «Che cosa pensi della regina?» Il messaggero gli risponde: «Penso molto bene di lei, perché mi ha ascoltato in silenzio e mi ha risposto con saggezza». «Ma non è forse bella?» chiede il re. «E’ a lei, mio signore, che spetta contemplarla. Io dovevo solo trasmettere i messaggi.» «Tu hai gli occhi casti» afferma il re. «Nei miei appartamenti sii casto anche nel corpo. Quanto all’altro, che sia espulso dal palazzo!»

Francesco prosegue: «Ascoltate, abitanti di Siena. Quando uno è troppo sicuro di se, fa meno attenzione al nemico, e il diavolo fa presto, quando vi ha presi per un capello, a trasformarlo in un giogo pesante. Anche se non è riuscito, dopo degli anni di tentazioni, a far cadere un uomo, poco gli importa il tempo che ci vuole pur di essere alla fine vittorioso. E’ questo il suo solo lavoro; di giorno e di notte, non si preoccupa d’altro.» * Da 2 C 113.

Non lasciarsi rovinare dal peccato altrui

Francesco prosegue: «Ma quando uno incontra una persona, che in ogni caso è un fratello, che ha appena commesso un grande peccato, deve per questo lasciarsi rovinare a sua volta da questo peccato? Deve aggiungere un nuovo errore al precedente giudicando suo fratello, maledicendolo, battendolo o uccidendolo? No! In verità, per quanto sia grande il peccato commesso dal suo prossimo, il servo di Dio puo’ essere colpito nel suo amore per Dio che è stato offeso, ma non deve mai perdere la pace dell’anima, né farsi prendere dalla collera. Nel caso in cui perdesse la pace dell’anima o si incollerisse, si attribuirebbe ingiustamente un diritto che appartiene soltanto a Dio: giudicare una colpa. Il servo di Dio che resta inaccessibile alla collera e al turbamento nei suoi rapporti con gli altri, conduce una vita conforme alla sua vocazione, libera da ogni attaccamento egoista. Beato colui che non si arroga niente, ma che rende a Cesare cio’ che è di Cesare ed a Dio cio’ che é di Dio * Da Adm 11.». Francesco, lentamente, riprende fiato e, quardando con tenerezza tutti quei visi rivolti verso di lui, continua, con un tono che si avvicina di più alla preghiera che alla predicazione:

Amate i vostri nemici

«Amate i vostri nemici», dice il Signore.

Amare veramente il proprio nemico è, innanzitutto, non affliggersi dei torti subiti personalmente; è sentire dolorosamente, ma come un’offesa all’amore di Dio, il peccato che l’altro ha commesso; ed è provare a costui, attraverso le azioni, che lo si ama sempre. * Adm 9.

Beati gli operatori di pace

Beati gli operatori di pace: saranno chiamati figli di Dio.

Sono veramente pacifici coloro che, nonostante tutto quello che devono soffrire in questo mondo, per amore di nostro Signore Gesù Cristo, mantengono la pace dell’anima e del corpo. * Adm 15.

Pace a voi, fratelli miei! Pace a voi! Siate «uno» come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono «Uno».

Gli abitanti di Siena, toccati da queste parole e dalla forza d’animo con la quale sono state pronunciate, si perdonarono mutualmente le offese commesse. Una grande unione li lego’ tutti a partire da quell’istante.

Rientrare in se per vedere le opere divine

Il vescovo di Siena, venuto al corrente di questo intervento, invita Francesco e lo riceve, insieme a Fratello Masseo, con un grande fasto degno dei signori. Cenano insieme ed il vescovo insiste perché i due minori restino a dormire all’arcivescovado per la notte. Siccome è molto tardi, i due frati accettano. Ma ecco che, molto presto, al mattino, quando il sole non è ancora sorto, Francesco sveglia Masseo e gli dice «Partiamo, presto prima che qualcuno si svegli, perché qui siamo trattati troppo bene». E, all’insaputa di tutti, e compreso del Vescovo, abbandonano Siena senza fare rumore.

Lungo la strada di ritorno verso Assisi, Fratello Masseo mormora tra sé: « Che cosa ha fatto questo brav’uomo? Innanzitutto mi ha fatto girare su me stesso come un bambino davanti a tutti. Poi, al Vescovo di Siena, che lo ha ricoperto di onori, non ha nemmeno detto una buona parola e siamo partiti senza neanche ringraziarlo. Francamente, mi sembra che Fratello Francesco agisca talvolta senza una grande educazione.» E fratello Masseo camminava ruminando questi tristi pensieri. Ma in seguito, siccome camminare a piedi aiuta la riflessione e la meditazione, rientra in se stesso e si mette ad accusarsi: «Come, Fratello Masseo, puoi essere cosi’ orgoglioso? Le opere che Francesco ha compiuto nella sola giornata di ieri sono cosi’ sante che nemmeno un angelo del Signore avrebbe potuto compierne di simili. Se Francesco non avesse riconciliato le persone che si battevano tra loro, non soltanto molti altri corpi sarebbero morti, oltre ai due uccisi per primi, ma anche molte anime sarebbero state condotte all’inferno dal diavolo. Come puoi essere stupido, tu che ti credi intelligente! come puoi essere orgoglioso, tu che mormori contro il tuo santo fratello! Poiché le opere che Francesco ha compiuto ieri vengono chiaramente dalla volontà di Dio, come lo dimostra il buon risultato che ne è dipeso.»

San Francesco, intanto, continua a camminare dietro, in silenzio. Ma, come alcuni altri santi * Per esempio, il santo curato d’Ars., Francesco ha una meravigliosa conoscenza delle anime * Tratti analoghi abbondano in tutti i biografi, per esempio: LP 28, 30; 1 C 48-50; 2 C 28-31, 40; LM 9 8-13. che gli permette di sapere con chiaroveggenza i pensieri segreti delle persone. Francesco conosce tutto cio’ che fratello Masseo dice nel suo cuore. Cosi’, dopo gli ultimi pensieri di Fratello Masseo, Francesco gli si avvicina, gli posa la mano sulla spalla e gli dice: «Fratello Masseo, mio buon Fratello Masseo, attieniti a questi pensieri che hai ora, perchè sono veri, buoni, utili ed ispirati da Dio. Dimentica il resto, che era ispirato dal demonio.»

Un altro fratello che passava per santo

Qualche anno dopo, Francesco arriva in una comunità di minori in cui un frate conduceva una vita santa ed esemplare. Si dava alla preghiera giorno e notte. Manteneva un silenzio cosi’ rigoroso che persino quando si confessava ad un fratello sacerdote, lo faceva per segni, senza dire una parola. Sembrava pieno di pietà e bruciava di un fervente amore di Dio. Quando dei fratelli avevano una conversazione pia, al sentirli manifestava una grande gioia interiore ed esteriore, e questo, sempre senza parlare. Al vederlo cosi’, molti lo consideravano come un santo.

Da qualche anno, ormai, viveva in tal modo, quando, un giorno, Francesco arriva al convento in cui dimora questo frate. I frati non esitano a mostrare a fratello Francesco l’entusiasmo che provano per questo fratello e le ragioni per cui le dichiarano santo. Ma Francesco interrompe il concerto di lodi dicendo: « Basta, fratelli! Non fatemi l’elogio di cio’ che non è altro che falsità e doppiezza. Se questo fratello non vuole confessarsi, è perchè in questa forma di vita non vi è altro che tentazione e furbizia diabolica. En verità, quest’uomo è condotto e sedotto dallo spirito maligno». I fratelli, all’udir questo, mostrano il loro stupore e interrogano Francesco: «In che modo delle mistificazioni cosi’ sfrontate possono covare sotto una perfezione cosi’ evidente?» - «Mettetelo quindi alla prova » replica Francesco, «domandandogli di confessarsi due volte, o almeno una volta alla settimana. Se rifiuta, vedrete che ho detto il vero.»

Allora il vicario generale, che era anch’egli presente, prende da parte il fratello che passava per un santo e comincia ad intrattenersi familiarmente con lui. Intrattenersi è, in effetti, un modo di dire, poichè il frate si esprime solo a segni. Per finire, il vicario ordina al fratello di confessarsi due volte o, almeno, una volta la settimana. L’altro rifiuta, pone un dito sulle sue labbra e scuote la testa, facendo capire, in tal modo, che non si confesserà. Venendo a sapere questo, i fratelli restano stupefatti davanti un tale rifiuto. Per la prima volta, in effetti, il vicario di tutto l’Ordine ordinava al fratello in questione di vivere un sacramento! Sanno, infatti, che la confessione puo’ essere, non soltanto causa, ma espressione di santità. Inoltre, constatando che il fratello si rifiuta di obbedire al vicario generale, si ricordano in quel momento dell’ammonoizione che Francesco ha potuto esprimere ad un capitolo generale sull’obbedienza perfetta e l’obbedienza imperfetta * Adm 3 (estratti).: «Il Signore dice nel Vangelo: colui che non abbandona tutto cio’ che possede, non puo’ essere mio discepolo…» Come fare per abbandonare tutto cio’ che uno possede? Abbandonandosi interamente all’obbedienza nelle mani del proprio superiore. Tutto cio’ che un sottoposto fa e dice, è atto di vera obbedienza a due condizioni: da una parte, che si tratti oggettivamente di una buona azione; d’altra parte, che uno sia sicuro di non andare contro la volontà del superiore. Un sottoposto crede talvolta che un’altro orientamento sarebbe migliore e più utile per la sua anima che quello che gli è stato imposto: che faccia a Dio il sacrificio del suo progetto e che si metta in dovere di applicare piuttosto quello del suo superiore. Ecco la vera obbedienza, che è anche amore: essa accontenta insieme Dio ed il prossimo… Molti religiosi, purtroppo, si immaginano di scoprire che c’è di meglio da fare che non cio’ che ordinano i loro superiori; si guardano indietro e ritornano ai loro vomiti, ossia alla loro propria volontà. Sono degli omicidi, perchè i loro cattivi esempi seminano la morte in molte anime. » I fratelli, di fronte al manifesto rifiuto «del santo» di confessarsi, sono ridotti al silenzio. Alla fine temono che loro fratello dia loro lo scandaloso spettacolo della sua impostura. Costernati, preferiscono tacere. Ora, solamente qualche giorno dopo, il fratello che passava per un santo abbandona l’Ordine di sua spontanea volontà. La cosa più triste è che lo abbandona senza essersi mai riconciliato con Dio e con i fratelli. Le situazioni originali e privilegiate finiscono sempre per intaccarsi col vizio. E Tommaso da Celano conclude * 2 C 28.: « evitiamo quindi la singolarità, che non è altro che un seducente precipizio».

La battaglia per la purezza

«Hanno veramente il cuore puro coloro che disprezzano i beni della terra, cercano quelli del cielo e, cosi’ purificati da ogni attaccamento dell’anima e del cuore, non cessano mai di adorare e di vedere altro che il Signore Dio vivo e vero» ci dice Francesco * Adm 16.. Disprezzare i beni della terra per cercare soltanto quelli del cielo; ecco delle cose più facili a dirsi che a farsi! Perchè in ogni uomo, siccome è un essere composto di spirito e corpo, esiste una certa tensione, una lotta tra le tendenze dello spirito e quelle della carne * Questa lotta appartiene all’eredità del peccato. Il battesimo cancella la macchia originaria, ma anche se essa viene totalmente cancellata, questa ha ferito la nostra anima rendendola più fragile e lasciandola in tal modo più soggetta a cadere nel peccato. E’ un po’ come un bambino che, da piccolo, mentre i suoi genitori sono perfettamente sani, contrae una malattia mortale. Per miracolo, il bambino viene salvato (è la grazia del battesimo). Ma, anche se è completamente guarito da questa malattia mortale, il bambino conserverà per tutta la vita una fragilità che non avrebbe avuto se non fosse stato colpito da questa malattia mortale da cui è sopravvissuto (è l’eredità del peccato originale che richiede, per tutta la vita, questa lotta tra spirito e carne). . Tuttavia, non dobbiamo assoltamante cadere nel disprezzo totale del nostro corpo o di quello altrui. La parola «carne» designa quell’attaccamento esagerato al proprio «io» ed ai beni della terra. Ma il corpo, da parte sua, è degno di rispetto. Dio fatto uomo ha preso corpo. E’ resuscitato dai morti, cio’ significa che il suo corpo è resuscitato e che noi stessi siamo chiamati a conoscere questa resurrezione. La purezza di cuore ci permette di percepire il corpo umano, il nostro e quello del nostro prossimo, come un tempio dello Spirito Santo, una manifestazione della bellezza divina.

Ma utilizzare questo corpo per un fine che non gli è destinato * «Il corpo è mio» si sente dire sovente, e «ne faccio cio’ che voglio». Questa maniera erronea di cosiderare il proprio corpo che, abbassandolo a livello di oggetto, distingue il corpo dall’io, non puo’ far altro che condurre alla caduta. Essa non permette di coltivare la purezza di cuore. Consideriamo quindi il nostro corpo alla luce di un’espresisone che riassume, di per se, molte cose: «Il mio corpo sono io». E’ quindi degno di rispetto. , rischia di coinvolgere la nostra anima nella sua perdita, quand’anche lo stesso corpo non sia preso nella caduta. Cosi’, una lotta, come detto precedentemente, o una battaglia per la purezza, sono da intraprendere ogni giorno. Anche se il battesimo conferisce a colui che lo riceve, la grazia della purificazione da ogni peccato, il battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza * San Giovanni distingue tre tipi di desiderio sfrenato o di concupiscenza: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita. Secondo la tradizione catechistica cattolica, il nono comandamento proibisce la concupiscenza carnale; il decimo la concupiscenza dei beni altrui. CEC 2514. E’ necessario che i penitenti enumerino nella confessione, tutti i peccati mortali di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e sono più pericolosi di quelli chiaramente commessi. CEC 1456. della carne ed i desideri disordinati * La concupiscenza è un desiderio che non resta nei limiti della ragione e ci spinge a bramare ingiustamente cio’ che non ci spetta e appartiene, o è dovuto al altri. Il decimo comandamento proibisce l'avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali. CEC 2535 et 2536.. Con la grazia di Dio vi perviene:

CONVERSIONE E RICONCILIAZIONE – PUREZZA DI CUORE

Articolo 7.

Come «fratelli e sorelle della penitenza » * Proposito di vita del 1221., in ragione stessa della loro vocazione, animati dal dinamismo del Vangelo, conformeranno il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo, attraverso questo cambiamento interiore radicale che il Vangelo chiama «conversione»; questa, in ragione della fragilità umana, deve essere ripresa tutti i giorni * Vaticano II, const. Sulla Chiesa 8; decreto sull’ecumenismo 4; const. apost. «Paenitemini» preambolo..
Su questo cammino di rinnovamento interiore, il sacramento della riconciliazione è segno privilegiato della misericordia del Padre e fonte di grazie * Vaticano II, decreto sul ministero e la vita dei preti 18 b..

Nel corso dei primi capitoli di questo manuale, abbiamo potuto scoprire il significato dei termini «fraternità», «penitenza», «Vangelo», «conversione». Quindi non ritorneremo in maniera estesa all’analisi di quest’articolo della nostra regola. Tuttavia, tanto per questo articolo 7 che per l’articolo 12 (che scopriremo subito dopo), dobbiamo approfondire la conoscenza del bene più prezioso che il Signore ha dato a ciascuno di noi: la nostra anima. Infatti, è proprio alla nostra anima che si riferisce l’espressione: «questo cammino di rinnovamento interiore». Incontestabilmente, l’anima è il nostro bene più prezioso! Gesù infatti diceva: «Che cosa serve all’uomo guadagnare l’universo se perde la propria anima?» (Mt 16 26).

Ma che cosa è l’anima?

Dio ha creato l’uomo con un corpo ed un’anima immortale * Tu puoi eventualmente rileggere con profitto il § che tratta de «La Vita» alla fine del capitolo 2, che dà dei chiarimenti sull’esistenza e la vita. . L’anima è questo spirito immortale che Dio ha creato a sua somiglianza per essere unita ad un corpo. La nostra anima ci permette di pensare, di amare e di agire liberamente. Più precisamente, ci permette di conoscere Dio, di amarLo e di servirLo. Ossia, la nostra anima è aperta al soprannaturale, all’infinito. Dopo la nostra morte, la nostra anima è chiamata a condividere la gioia eterna di Dio nel Cielo. Ma non corriamo troppo ed occupiamoci innanzitutto del presente * Poiché ci sono due momenti molto importanti nell’esistenza di ogni essere umano: l’istante presente e l’istante della morte. Questo è talmente vero che nella redazione della seconda parte dell’«Ave Maria» la Chiesa ha precisato: «Prega per noi peccatori, adesso, e nell’ora della nostra morte». . Fin da questa terra, l’anima puo’ essere unita a Dio attraverso la Grazia, ossia l’abitazione di Dio nella nostra anima. Possiamo dire che questa abitazione passa attraverso tre fasi: la prima é la creazione; la seconda è una nuova creazione; la terza è la perfezione.

La prima fase è comune a tutti gli uomini. Questo significa che ogni individuo, che sia cristiano, membro di un’altra religione, adepto di una setta, ateo o acerrimo avversario della Chiesa di Cristo, ha un’anima spirituale, immortale, creata da Dio. La seconda fase è propria dei giusti che, attraverso la loro volontà, conducono l’anima ad una creazione ancora più completa, unendo le loro buone azioni alla bontà dell’opera di Dio. Di conseguenza, si formano un’anima già spiritualmente più perfetta di coloro che restano nella prima fase. La terza è propria ai beati ed ai santi, che fanno crescere di mille e mille gradi l’anima che avevano al punto di partenza: di un’anima semplicemente umana ne fanno un’anima capace di riposare in Dio * Dal Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri, Italia, L’Evangile tel qu’il m’a été révélé, Maria Valtorta, tomo 3, cap. 65, p. 383 e 384 (estratti).. Al fine di ben capire questa progressione, prendiamo come simbolo un edificio religioso conosciuto dal mondo intero: San Pietro a Roma. Innanzitutto, la sua grande piazza, ornata e robusta, introduce il pellegrino nell’area dell’edificio. Questa è difesa da due gigantesche serie di colonne impiantate in forma circolare, come se si trattasse di un muro difensivo di una fortezza. Allo stesso modo bisogna saper circondare l’anima, regina di un corpo che è tempio dello Spirito eterno, con una barriera che la difenda ma senza togliergli la luce. Tuttavia, queste due serie di colo,nne che tentano di ricongiungersi, sono aperte alle estremità, come per significare che questa barriera, stabilita per proteggere l’edificio, è un misericordioso rifugio per i più sfortunati che non conoscono cosa sia la carità. Per accedere all’edificio, nella seconda fase, il pellegrino deve deve attraversare questa piazza (che è effettivamente in salita) e poi montare degli imponenti gradini. Questa salita simboleggia la liberazione dello spirito dalla carne. Si lascia in basso tutto cio’ che è pesante, per montare verso cio’ che è superiore: lo spirito. In cima ai gradini, il pellegrino arriva sotto il nartece, luogo dei catecumeni, simbolo dell’effusione dell’amore, della pietà, del desiderio che gli altri vengano a Dio. Mentre la piazza resta esposta alle intemperie (il sole di piombo o la pioggia), questo nartece è come un velo sulla culla di un orfano. Poi, al di là delle porte, le sculture più belle in omaggio al creatore. Bisogna precorrere ancora un lungo cammino per arrivare al transetto * La rappresentazione artistica della Trinità che si trova in questo punto merita di essere sottolineata: là in alto, sotto la cupola, Dio Padre. Non abbandona i cieli. Più in basso, al soffitto del baldacchino, lo Spirito è rappresentato sotto forma di una colomba, ma anche attraverso il movimento dei drappi bronzei del baldacchino: il soffio dello Spirito che agisce. In basso, sull’altare, Dio che si dà in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo: L’Eucarestia, il corpo e il sangue di Cristo. e presentare all’altare l’offerta delle proprie virtù. E’ là, all’altare, che Dio si rende presente nel Santo sacrificio della messa e che l’anima umana è invitata a comunicare fisicamente e spiritualmente con Dio.

Tutto cio’ è molto bello, mi direte voi. Ma non c’è spazio, nell’articolo 7 della nostra regola, per la «fragilità umana». Si pongono, allora, per noi, dei nuovi interrogativi.

Come offrire all’anima: spazio, libertà, elevazione?

Per dare all’anima dello spazio, bisogna incominciare a demolire le cose inutili che ciascuno accumula in se stesso. Per darle la libertà, bisogna strappare le catene delle false

idee. Per innalzarla, bisogna accogliere Dio Amore nel cuore della propria vita * Siccome si tratta di tre gradi, potremmo anche parlare di penitenza, pazienza e costanza, oppure di umiltà, purezza e giustizia. O ancora di saggezza, generosità e misericordia. O infine, del trinomio luminoso: fede, speranza e carità. . Attraverso la sua obbedienza fino alla morte, Cristo ha comunicato ai suoi discepoli il dono della libertà reale, «affinchè strappino al peccato il suo impero in se stessi grazie alla loro abnegazione ed alla santità della loro vita» * CEC 908 (LG 36).. La pratica della vita morale animata dalla carità dona al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Questi non si tiene più davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, ne’ come il mercenario in cerca di un salario, ma come un figlio che risponde all’amore di «Colui che ci ha amati per primi» (1 Jn 4 19) * CEC 1828..

Che cosa è il peccato?

Il peccato è un’offesa fatta a Dio. Puo’ assumere le diverse forme enumerate nel «confesso»: il peccato in pensieri, parole, opere o omissioni. Ma, in ogni caso, si tratta di una disobbedienza ai comandamenti di Dio che sono comandamenti d’amore: amare Dio ed amare il proprio prossimo. Si, pure il fatto di peccare contro il prossimo esprime prima di tutto una rivolta contro il nostro Creatore: «Contre di Te, contro Te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto » (Ps 51 6). Il peccato si scaglia contro l’amore di Dio per noi. Volge il nostro cuore verso la cattiva direzione, come hanno fatto i nostri progenitori nel giardino dell’Eden. Il peccato, «amore di se fino al disprezzo di Dio * S. Augustin, civ. 14 28.» sporca la nostra anima. E’ come se, in un certo qual modo, venisse nella nostra casa e gettasse fuori il letto, le lenzuola pulite, i piatti ed il cibo buono, e li rimpiazzasse con della spazzatura e degli escrementi. Restare nel proprio peccato è come andare a dormine ogni notte nella spazzatura e mangiare ogni giorno degli escrementi. La metafora puo’ fare sorridere ma, riguardo alla nostra anima, è esattamente cio’ che il peccato provoca. Scaccia Dio dalla nostra anima e mette al suo posto Satana. Questo significa che quell’esaltazione orgogliosa di se stessi non assomiglia in nulla al modo di pensare e di agire di Cristo a cui ci invita la nostra regola. Egli, Gesù, attraverso la sua obbedienza, compie la salvezza. Il peccato è la perdita, il contrario della salvezza. Tuttavia, grazie a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, è possibile restaurare la vita divina in noi. Questa grazia richiede al penitente la confessione dei suoi errori. Infatti, anche se «Dio ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi» * Sant Agostino, serm. 169, 11, 13.. Accogliere la sua misericordia richiede da parte nostra l’ammissione dei nosstri errori. «Se noi diciamo: «Noi non abbiamo alcun peccato», noi ci inganniamo e la verità non è in noi. Se noi confessiamo i nostri peccati, Egli è talmente fedele el giusto che rimette le nostre colpe e ci purifica da ogni ingiustizia» (1 Jn 1 8,9). * CEC 1847.

La misericordia divina nell’ Antico Testamento

Nell’Antico Testamento, il concetto di misericordia ha una storia lunga e ricca * A compter de ce paragraphe et pour les deux suivants, l’essentiel de leur contenu est composé d’extraits aménagés de la deuxième lettre encyclique de notre souverain pontife Jean-Paul II Dives in misericordia (la miséricorde divine) (Pierre TEQUI Editeur 1980). . Noi dobbiamo rimontare fin là affinché risplenda più pienamente la misericordia che Cristo ha rivelato. Le occasioni in cui Dio fa prova di misericordia verso gli uomini, a titolo individuale o comunitario, sono innumerevoli. In Israele non mancano né gli uomini né i profeti per risvegliare questa coscienza di un Dio di misericordia * Jg 3 7-9; 1 R 8 22-53; Mi 7 18-20; Is 1 18, 51 4-16; Ba 2 11, 3 8; Ne 9.. All’origine di questa convinzione si trova l’esperienza fondamentale del popolo eletto vissuta durante l’esodo: il Signore vede la miseria del suo popolo ridotto in schiavitù, odi il suo clamore, percepisce le sue angosce e decide di liberarlo (Ex 3 7-8). In questa azione di salvezza realizzata dal Signore, il profeta discerne il suo amore e la sua compassione (Is 63 9). E’ là che si radica la fiducia di un intero popolo e di ciascuno dei suoi membri nella misericordia divina, misericordia che puo’ essere invocata in ogni tragica circostanza.

A questo si aggiunga il fatto che la miseria dell’uomo è anche il suo peccato. Il popolo dell’Antica Alleanza conosce questa miseria fin dai tempi dell’esodo, quando ha eretto il vitello d’oro. Ma dopo questo atto di rottura dell’alleanza, il Signore trionfa dichiarando solennemente a Mosé: «Dio di tenerezza e di grazia, lento all’ira e pieno di misericordia e di fedeltà» (Ex 34 6). E’ in questa rivelazione centrale che il popolo eletto e ciascuno tra coloro che ne fanno parte, dopo ogni errore, trovano la forza e la ragione di rivolgersi al Signore per ricordargli cio’ che ha precisamente rivelato di se stesso ed implorare il suo perdono * Nb 14 18; 2 Ch 30 9; Ne 9 17; Ps 86 (85) 15; Sg 15 1; Si 2 11; Jl 2 13.. In tal modo l’Antico Testamento incoraggia gli infelici e soprattutto coloro che sono carichi di peccati, a fare appello alla misericordia. In un certo senso, la misericordia divina si trova dal lato opposto della giustizia divina. In effetti, in molti casi, la misericordia divina è non solo più potente, ma ancora più fondamentale della giustizia: l’amore, più grande che la giustizia o ancora, la giustizia al servizio della carità.

E’ significativo che i profeti, nella loro predicazione, colleghino la misericordia, di cui parlano sovente a causa dei peccati del popolo, all’immagine dell’amore ardente che Dio ha per lui. In questa predicazione, la misericordia significa una potenza particolare dell’amore, che è più forte del peccato e dell’infedeltà del popolo eletto. Infatti, se Dio si trova di fronte alla penitenza ed alla conversione autentica, ristabilisce di nuovo il suo popolo nella sua grazia (Jr 31 20; Ez 39 25-29).

La misericordia divina nel mistero pasquale

Mentre Gesù esercita la sua missione, lo vediamo compiere le parole del profeta Isaia lette agli abitanti di Nazaret « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.» (Lc 4 18,19). E’ altamente significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri che non hanno mezzi di sussistenza, coloro che sono privati della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza della creazione, coloro che vivono nell’afflizione del cuore o che soffrono a causa dell’ingiustizia sociale ed, infine, i peccatori. E’ soprattutto riguardo a questi uomini che il Messia diventa un segno particolarmente leggibile del fatto che Dio è amore; diventa un segno del Padre. Cristo incarna e personifica la misericordia. Per chi la vede e la trova in lui, Dio diviene visibile come il Padre ricco di misericordia. «Chi vede me, vede il Padre » (Gv. 14 9).

E’ incontestabilmente nel mistero della Pasqua, nella passione e nella resurrezione di Cristo, che si manifesta in modo eclatante l’amore misericordioso del Padre. In effetti, la croce è il modo più profondo, per Dio, di chinarsi verso l’uomo e su cio’ che l’uomo , soprattutto nei momenti difficili e dolorosi, chiama sfortunato destino * Un immagine piuttosto nota puo’ aiutarci a capire meglio il senso e l’effetto del sacrificio della croce: quella dell’uccello ferito. Gli uomini, dopo la caduta originaria, sono come degli uccelli in gabbia in un’immensa voliera. Questa voliera, anche se è immensa, resta perfettamente chiusa da una griglia inviolabile, che impedisce in tal modo agli uccelli di elevarsi verso il cielo, là dove si trovano spazio e libertà. Tuttavia un uccello permetterà di dare a tutto il gruppo la libertà perduta. Quest’uccello, per amore di tutti gli altri, va con forza e detrminazione fino alla cima della voliera, si proietta contro la griglia inviolabile ed apre una breccia. Ma per aprire questa breccia l’uccello fa dono della sua vita. La violenza dell’urto tra questi e la griglia della voliera è talmente brutale che il suo sacrificio ne causa la morte. La testa, le ali, le zampe, tutto il suo piumaggio coperto di sangue testimoniano l’intensità del colpo e, al contempo, del suo immenso amore per la totalità degli uccelli prigionieri. E’ là, inerte, ed il soffio della vita lo ha abbandonato. Tutti osservano sconcertati i suoi resti mortali, senza rendersi conto che ora la libertà è li’ vicina, a qualche colpo d’ala. Un altro avvenimento, altrettanto straordinario che il precedente, ha luogo tre giorni dopo: la resurrezione dell’uccello sacrificato. Dio, nella sua infinita misericordia, ridona il soffio della vita a questo uccello. In questo momento, quale gioia nella voliera! Che allegria! E tutti scoporono allora che la gabbia è aperta; tutti possono ormai volare via. .

La croce è come un tocco dell’amore eterno sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrestre dell’uomo. E’ anche il compimento totale del programma messianico che Cristo ha formulato nella sinagoga di Nazaret e ripetuto in seguito davanti ai messaggeri di Giovanni Battista (Lc 7 20-23). Il fatto che Cristo sia resuscitato il terzo giorno è il segno che marca il compimento della missione messianica, segno che è coronamento della rivelazione completa dell’amore misericordioso in un mondo sottomesso al male. Costituisce al contempo il segno che annuncia in anticipo «un cielo nuovo ed una terra nuova» (Ap 21 1), quando Dio «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi; non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né pena esisterà più, perché il primo mondo é sparito» (Ap 21 4).

La riconciliazione, segno privilegiato della misericordia del Padre

Nel Vangelo secondo Luca, troviamo una serie di tre parabole che ne costituiscono il capitolo 15 intitolato «Le tre parabole della misericordia». Queste comprendono: «la pecorella smarrita», «la dracma ritrovata» e infine, «il figliuol prodigo». Quest’ultima (Lc 15 11-32) permettte di sottolineare, non soltanto la misericordia del Padre verso di noi, ma anche gli effetti reali di questa riconciliazione con Dio.

Il figlio riceve dal padre la parte di eredità che gli spetta ed abbandona la casa per spendere tutto in un paese lontano vivendo come un dissipato. Questo figlio rappresenta l’uomo di ogni tempo, cominciando da colui che perse l’eredità della grazia e della giustizia originaria. Ma questa parabola è estremamente larga. Tocca indirettamente ogni rottura dell’alleanza dell’amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato. In breve, mi riguarda. Il figlio, «quando ebbe speso tutto…, comincio’ a sentire la privazione», tanto più che arrivo’ una grande carestia «in quella regione» dove si era recato dopo aver abbandonato la casa del padre. E allora, «avrebbe voluto qualcosa per riempirsi la pancia», non fosse altro che «con le carrube che mangiavano i porci » che egli sorvegliava per «uno degli abitanti di quella regione ». Ma pure quello gli veniva rifiutato perchè, in quella regione, la salute dei porci aveva più importanza della salute di colui che aveva l’incarico di custodirli. Vediamo, quindi, che piano piano l’analogia si sposta verso il cuore dell’uomo. Il patrimonio ricevuto da suo padre consisteva in beni materiali, ma più importante ancora di questi beni era la dignità del figlio nella casa paterna. La situazione materiale in cui si trova avrebbe dovuto renderlo cosciente della perdita di questa dignità. Non aveva pensato a questo prima, quando aveva chiesto a suo padre di dargli al parte di eredità che gli spettava per andarsene lontano. E sembra che non ne sia ancora cosciente nel momento in cui dice a se stesso: «Quanti mercenari di mio padre hanno del pane in abbondanza ed io sono qui a morire di fame». Egli misura se stesso con il metro dei beni che ha perduto, che non «possiede» più, mentre i salariati della casa di suo padre li «possiedono». Queste parole esprimono soprattutto il suo atteggiamento verso i beni materiali. Tuttavia, al di là delle parole, si nasconde il dramma della dignità perduta, la coscienza del carattere filiale rovinato. Ed è a questo punto che prende la sua decisione: «Partiro’, andro’ da mio padre e gli diro’: Padre, ho peccato contro

il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi servi» (Lc 15 18-19). Sono parole che svelano più profondamente il problema esistenziale. Nella situazione materiale difficile in cui il figliuol prodigo è venuto a trovarsi a causa della sua leggerezza ed a causa del suo peccato, egli ha maturato il senso della dignità perduta. Quando si decide a ritornare nella casa paterna, non più in virtù del suo diritto di figlio, ma nella condizione di un servo, sembra, esteriormente, che agisca spinto dalla fame e dalla misearia nella quale è precipitato. Tuttavia questo motivo è penetrato dalla coscienza di una perdita più profonda: essere servo nella casa del proprio padre è senz’altro una grande umiliazione ed una grande vergogna. Tuttavia il figliuol prodigo è pronto ad affrontare questa umiliazione e questa vergogna. Si rende conto che non ha più alcun diritto, se non quello di essere un mercenarionella casa di suo padre. Questo ragionamento mostra bene che, al centro della cosienza del figliuol prodigo emerge il senso della dignità perduta, di quella dignità che sgorga dal rapporto tra il figlio e suo padre. E dopo aver preso questa decisione, si mette in cammino.

La descrizione precisa dello stato d’animo del figliuol prodigo ci permette di comprendere con esattezza in che cosa consiste la misericordia divina. Senza alcun dubbio, la figura del padre di famiglia ci rivela Dio come Padre. Il padre del figliuol prodigo è fedele alla sua paternità, fedele all’amore di cui riempiva suo figlio da sempre. Questa fedeltà non viene espressa soltanto, nella parabola, attraverso la prontezza dell’ accoglienza, quando il figlio ritorna a casa dopo aver dilapidato la sua eredità, ma viene espressa soprattutto, e ancor maggiormente, attraverso quella gioia e quella festa cosi’ generosa nei riguardi del figliuol prodigo, al suo ritorno, tanto che essa suscita l’opposizione e l’invidia del fratello maggiore. Il padre agisce, evidentemente, spinto da un profondo affetto, e questo puo’ spiegare anche la sua generosità verso suo figlio. Tuttavia, le cause di questa emozione devono essere ricercate più profondamente: il padre è cosciente del fatto che è stato salvato un bene fondamentale: l’umanità di suo figlio. Anche se questi ha dilapidato la sua eredità, la sua umanità è salva. Inoltre, essa è stata come ritrovata. Le parole che il padre rivolge al figlio maggiore ce lo rivelano: «Bisognava fare festa e rallegrarsi, poiché tuo fratello che era morto è ritornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato!». Allo stesso modo, l’amore che Dio ha per noi, è capace di chinarsi su ogni miseria umana, soprattutto su ogni miseria morale, sul peccato. Quando questo avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e «rivalorizzato». La parabola del figliuol prodigo esprime in modo semplice, ma profondo, la realtà della conversione. Questa è l’espressione più concreta dell’opera dell’amore e della presenza della misericordia nel mondo umano.

La riconciliazione, fonte di grazie

Nel linguaggio corrente, la grazia è un favore accordato a qualcuno per essergli favorevole. Nel linguaggio teologico, Dio, avendo chiamato l’uomo a partecipare alla sua vita divina, ha stabilito, in virtù della sua grazia, dei mezzi proporzionali a questo fine. E la grazia è un dono di Dio interamente gratuito per aiutarci ad ottenere la salvezza della nostra anima. Gesù ci offre i mezzi: attraverso il battesimo noi nasciamo alla vita soprannaturale; grazie alla cresima siamo rafforzati nella nostra vita soprannaturale; il Corpo di Cristo Eucarestia nutre la nostra vita soprannaturale; il sacramento della riconciliazione è il nostro grande rimedio contro le malattie dell’anima. Grazie à quest’ultimo sacramento, la vita divina viene restaurata nella nostra anima. Dopo che il figlio ha confessato i suoi peccati dicendo, «Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio», il padre dice ai suoi servitori: «Presto, portate il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e delle calzature ai piedi». All’epoca di Cristo, solo gli uomini liberi e ricchi portavano delle calzature (o dei sandali). I poveri e gli schiavi che non ne portavano mai, andavano a piedi nudi. Attraverso queste parole «mettetegli delle calzature ai piedi», il Padre ci libera dalla schiavitù del peccato nel quale ci mettiamo. E va ancora più lontano. Sempre all’epoca di Cristo, i soli che portavano anelli alle dita erano i signori. I servitori non ne portavano. Il Padre restaura completamente lo stato di vita iniziale. Lui che è il Signore assoluto di tutte le cose, ci fa dono di partecipare alla sua vita divina. Senza alcun merito da parte nosta, ci «rimette l’anello» al dito. In altre parole, viene di nuovo ad abitare la nostra anima. Questa grazia che ci accorda si chiama «grazia santificante», poiché ci rende figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo e tempio vivo dello Spirito Santo. Essa santifica la nostra anima, la «rende divina» (San Paolo), non perché noi diventiamo Dio, ma perché diventiamo simili a Lui attrraverso la nostra intima unione con Lui e con il dono che ci fa di Se stesso. Quando uno possiede la grazia santificante, è in sato di grazia.

Il sacramento della riconciliazione

Non entreremo qui nel rituale di questo sacramento, ma quello che si chiama oggi «sacramento di riconciliazione» ha portato, e porta ancora, diversi nomi. Il loro significato proprio ci permette di scoprire i diversi effetti di questo sacramento * Il testo che segue è estratto da: CEC, § 1423 e 1424..

E’ chiamato sacramento della conversione poiché realizza sacramentalmente l’ appello di Gesù alla conversione (Mc 1 15), il cammino di ritorno al Padre (Lc 15 18) da cui ci si è allontanati con il peccato.

E’ chiamato sacramento della Penitenza poichè consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore.

E’ chiamato sacramento della confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote * Il sacerdote non perdona i peccati nel suo nome, ma «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo, esso è anche una «confessione», riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.

E’ chiamato sacramento del perdono poiché, attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, Dio accorda al penitente «il perdono e la pace».

E’ chiamato sacramento di Riconciliazione perché da’ al peccatore l’amore di Dio che riconcilia: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5 20). Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere alla chiamata del Signore: «Va’ prima a riconciliarti con tuo fratello» (Mt 5 24).

Articolo 12.

Testimoni del mondo a venire e fedeli alla loro vocazione, si sforzeranno di acquisire la purezza del cuore, al fine di essere più liberi per amare Dio ed i loro fratelli * Adm 16; 1 Let 70..

Se la tua intenzione è retta

Troviamo questa condizione, «se la tua intenzione é retta», nel racconto della Genesi «Caino e Abele» (Gn 4). Questo testo ci aiuta ad approfondire il concetto di purezza di cuore. «L’uomo conobbe Eva, sua moglie ». Da questa unione nacque un primo figlio: Caino. Diede in seguito nasita ad un secondo figlio: Abele. I due giovani crescono e, mentre Caino coltiva la terra, Abele diventa pastore di bestiame. Un giorno, entrambi presentano un’offerta al loro Creatore, in altre parole, entrambi sacrificano qualcosa che è loro caro per piacere a Dio, un po’ come un innamorato offrirebbe un mazzo di fiori ad una signorina per la quale il suo cuore si è messo a battere molto forte. Caino brucia dei prodotti della terra ed Abele offre i primi nati del suo gregge e pure il loro grasso. Ora, il Signore «gradi’ Abele e la sua offerta. Ma non gradi’ Caino e la sua offerta e Caino fu molto irritato e il suo volto era abbattuto». Evidentemente, le esclamazioni che possono sorgere alla lettura del racconto sono le seguenti: ma perché Dio non ha accettato l’offerta di Caino! Non è forse una mancanza di giustizia da parte sua? Caino è molto irritato, ma, francamente, ha un buon motivo! Siccome Dio accetta l’uno, perché non accetta l’altro? In più, se Dio avesse accettato l’offerta di Caino, questi non avrebbe in seguito ucciso suo fratello! In breve, non accettare un’offerta, fa parte delle cose che non si devono fare! Tuttavia il seguito del racconto ci illumina sulla ragione del rifiuto divino: «Yahvé disse a Caino: «Perché sei irritato e perché il tuo volto é abbattuto? Se la tua intenzione é retta, perché non rialzi al testa? Ma se la tua intenzione non è retta, il peccato non è forse alla porta, una bestia in agguato che ti cerca e che tu devi dominare?»» Agli occhi di Dio, l’intenzione è determinante; in altre parole, non è tanto l’atto che conta, quanto piuttosto l’intenzione che motiva l’atto. Riprendiamo l’esempio del nostro innamorato che offre un mazzo di fiori alla bella signorina. Immaginiamo un istante che la giovane abbia, in effetti, due pretendenti, e che ciascuno le offra, a qualche ora di intervallo, un magnifico mazzo di fiori. Signorine e Signore (che un giorno siete state signorine) che leggete queste righe, voi sapete che cosa significa l’espressione: «ditelo con un fiore». Tuttavia, anche se il cuore della giovane è ancora indeciso nei propri sentimenti riguardo i due pretendenti, ella accetta il mazzo di fiori dell’uno ma non dell’altro. In effetti, nella sua intuizione tutta femminile, ella discerne che per uno di essi, il mazzo di fiori non vela altro che un desiderio impuro, mentre per l’altro, ella vi discerne il segno di un’espressione di un vero sentimento che proviene dal suo cuore. Doveva forse accettare i due mazzolini nel nome di una ben curiose giustizia? No, è evidente. Ebbene, se Dio non accetta l’offerta di Caino, è per la stessa ragione. L’atto di offerta di Caino non è l’espressione sensibile di un sentimento «puro», mentre l’offerta di Abele è impregnata di quella purezza di intenzione che rende l’offerta gradita a colui che la riceve. Essa è veramente espressione del suo amore per il suo Creatore. L’amore, sempre l’amore. Più tardi, attraverso la bocca del profeta Osea, il Signore ci dirà: «Poiché io voglio l’amore più che il sacrificio, la conoscenza di Dio più che gli olocausti.» (Os 6 6)

Tutto viene dal cuore

La purezza procede dal cuore. Tale è il cuore, tali sono i pensieri, la parola, lo sguardo, l’azione. Dal suo cuore, il giusto attinge il bene, e più ne attinge, più ne trova, poiché il bene che uno fa, genera un bene nuovo. L’uomo malvagio attinge del male dal suo cuore che è malvagio e non puo’ trarre dal suo cuore che del male a causa delle cattiverie che accumula: «macchinazioni, omicidi, adulteri, fornicazioni, rapine, false testimonianze, diffamazioni. Ecco le cose che rendono l’uomo impuro» (Mt 15 19).In ogni caso, è il troppo pieno del cuore che trabocca dalle labbra e si manifesta nelle azioni.

Nelnostro pellegrinaggio verso Dio, il valore della nostra purezza di cuore è determinante. Satana lo sa cosi’ bene che comincia sempre a tentarci attraverso l’impurità. Sa che un peccato di sensualità smantella l’anima e ne fa una preda facile per gli altri peccati. Dio, tuttavia, non ci fa violenza. L’uomo è libero. Ma Dio ci da la forza attraverso la sua grazia. Ci libera dal dominio di Satana. A ciascuno di noi è dato di riprendere il giogo infernale o di mettere alla propria anima delle ali di angelo. Tutto dipende da se stessi per prendere Gesù Cristo come un fratello affinché sia guida verso Dio Padre.

Facciamoci un cuore umile e puro, amante, fiducioso, sincero. Amiamo Dio con l’amore di una vergine per il suo fidanzato. In realtà, ogni anima è una vergine, sposata all’Eterno amante, a Dio nostro Signore. La terra è il tempo del fidanzamento, di cui ogni ora, ogni contingenza della vita, sono delle ancelle che preparano il bagaglio nuziale. L’ora della morte è l’ora del compimento delle nozze. L’anima puo’ allora togliere il suo velo e gettarsi nelle braccia del suo Dio.

DOMANDE

Ho memorizzato bene?

  1. Posso enumerare e commentare in modo succinto le quattro virtù cardinali? Da quale altra virtù, superiore a loro quattro, sono derivate e verso quale virtù tendono tutte?
  2. Sull’esempio di Francesco, qual’è la virtù da praticare per , non solo resistere alla prima forma di tentazione, ma anche per cercare, a partire da oggi, di vedere secondo Dio, di ricevere gli altri come il nostro prossimo, di percepire il corpo umano (il nostro e quello del nostro prossimo) come un tempio dello Spirito Santo ed una manifestazione della bellezza divina.
  3. Che cosa è l’anima e che cosa è la grazia?

Per approfondire

  1. «I tuoi peccati sono perdonati». Sentiamo sovente questa frase pronunciata da Gesù nel Vangelo. Tuttavia, essa è sovente seguita da un’azione da parte del penitente. Documentandomi, se necessario, posso dire quali sono le tre «azioni del penitente» durante il sacramento della riconciliazione? Infine, quali sono i tre effetti principali del sacramento della riconciliazione?
  2. Concretamente , come posso «acquisire la purezza di cuore al fine di essere più libero per amare Dio e i miei fratelli»?
  3. Riflettere sul sacramento della riconciliazione come «fratello o sorella della penitenza» è molto lodevole. Ma il « cambiamento interiore radicale » di cui si parla nella nostra regola, non richiede forse che io mi fissi, oggi stesso, la data della mia più prossima confessione sacramentale?
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Realizzato da www.pbdi.fr Illustrazione di Laurent Bidot Traduzione : Elisabetta Daturi