Frate Rufino (accoglienza)

Capitolo X: Rispetto della creazione

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Queste nuove pagine si apriranno per mezzo della Luce : gioiosa luce dell’Agnello, splendore eterno del Padre. Questa Luce ci illuminerà sulla vocazione della creazione. Ci fermeremo, in seguito, per lodare l’Altissimo grazie al Cantico di fratello Sole che Francesco ha composto verso la fine della sua vita. Scopriremo cosi’ l’amore fraterno che Francesco porta alle creature e vedremo che questo cantico, che nella sua sostanza è un cantico di lode, cela anche un’altra lettura che tocca le profondità dell’anima. Infine, termineremo attraverso la meditazione dell’articolo 18 della nostra regola, che porta sul rispetto dovuto alla creazione.  

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GIOIOSA LUCE, SPLENDORE ETERNO DEL PADRE

La fonte della luce è l’Agnello

Un angelo mi trasporto’, in spirito, sopra un monte grande ed eccelso e mi mostro’ la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio. La città non ha bisogno di sole né di luna che la illumini, perchè la illumina la gloria di Dio e il suo luminare è l’Agnello.  

(Ap 21 10.23).

In principio era il Verbo

Il principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta.

(Jn 1 1-5).

La Liturgia ci fa ascoltare questo inizio del prologo del Vangelo secondo San Giovanni nella festa della Natività del Signore. La Chiesa non avrebbe potuto scegliere una data più adatta per proporre questa pagina del Vangelo alla nostra meditazione. Infatti, è cosa buona e giusta, in questo giorno in cui Gesù prende la condizione di Figlio dell’Uomo,  proclamare che egli è Figlio di Dio, che lo era « già » al principio del mondo, che egli stesso è Dio, che la creazione è fatta da Lui e con Lui, che la vita degli uomini non è possibile se non in Lui fin dall’origine dell’umanità e che la vita che Egli è e che Egli dona è la luce degli uomini…

Gesù è nato nel mezzo della notte e nel nostro calendario planetario, in una delle notti la cui durata è fra le più lunghe dell’anno. Questa particolarità non è il frutto di una felice coincidenza, ma significa che la storia dell’umanità era stata immersa nelle tenebre dal peccato dell’uomo e che Gesù creatore è disceso nelle profondità di queste tenebre per riscattarci ; Egli si è fatto Radentore per darci la vita. La maggior parte delle antiche civiltà orientali (Egitto, Babilonia, Iran) aveva associato la luce al bene, alla vita, all’essere, mentre la notte e l’oscuità erano il regno del male, della morte e del nulla. Il pensiero ebraico e cristiano ha incluso questa antitesi fondamentale. La Notte Santa della veglia pasquale traduce meravigliosamente, nel suo svolgimento liturgico, questa vittoria della vita sulla morte, della luce sulle tenebre. All’inizio del rito della luce, mentre la chiesa è interamente immersa nell’oscurità, il sacerdote, vicino  al fuoco novello, prega :  

« Signore Dio nostro, attraverso tuo Figlio, luce del mondo, hai dato agli uomini la chiarezza della tua luce ; degnati di benedire questa fiamma che brilla nella notte ; accorda a noi, durante queste feste pasquali, di essere infiammati da un cosi’ grande desiderio del cielo che possiamo pervenire, con un cuore puro, alle feste dell’eterna luce, per Gesù Cristo nostro Signore. »

Il sacerdote accende, quindi, il cero pasquale con una fiamma proveniente dal fuoco novello e prosegue :

« Che la luce di Cristo, che resuscita nella gloria, dissipi le tenebre del nostro cuore e del nostro spirito. »

I profeti avevano annunciato che il giorno del Signore sarebe stato di tenebre per i malvagi (Is 13 10 ; Ez 32 7 ; Am 5 18), ma che sarebbe stato di luce per i giusti (Is 9 1), come era accaduto nell’Esodo. Nel Nuovo Testamento, la predicazione di Gesù realizza questa prospettiva escatologica annunciata da Isaia  (Mt 4 16). Attraverso i suoi miracoli e le sue parole, Cristo annuncia la luce ai pagani  (Ac 26 23) ; le guarigioni di ciechi rivestono, sin d’allora, un significato importante  (Jn 9 5). Cristo è egli stesso la luce che egli rivela (Jn 12 46) e che dona la vita a tutti gli uomini (Jn 1 4-9) ; il dramma di cui egli è vittima corrisponde quindi ad una lotta tra la luce e le tenebre (Jn 1 4 ; 3 19 ; 13 30 ; Lc 22 53). La trasfigurazione lascia apparire, sotto l’umile rivestimento di carne, l’essenza divina di Cristo luce  (Mt 17 2 ; 2 Co 4 6) che strappa gli uomini all’impero delle tenebre (Ep 4 18 ; 5 8) : Cristo annuncia la luce  (Ap 26 33) della rivelazione voluta da Dio (1 P 2 9) e ci illumina (He 6 4). Ci chiama a optare liberamente per la conversione, che non è altro che un movimento dall’oscurità verso la luce (Ep 5 8). I cristiani che hanno scelto di vivere come « figli della luce » (1 Th 5 5 ; Lc 16 8 ; Jn 12 36), di rinunciare alle opere delle tenebre (Rm 13 12 et s.), di essere in comunione con il Dio di luce (1 Jn 1 5 et s.) sono partecipi dell’eredità dei santi nella luce (Col 1 12). Alla fine dei tempi, i giusti perverranno all’eterna luce che inonda la Gerusalemme celeste (Mt 13 43 ; Ap 21 23 et s.) ; li’, contempleranno Dio faccia a faccia, illuminati per sempre (Ap. 2 4) * Petit dictionnaire encyclopédique de la Bible (Piccolo dizionario enciclopedico della Bibbia), Brepols 1992, p. 543 - 544 (estratti della definizione di Luce)..

Dipendenza della creazione da Cristo

« La creazione è il fondamento di tutti i progetti salvifici di Dio, l’inizio della storia della salvezza che culmina in Cristo. Inversamente, il mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione. Rivela il fine in vista del quale in principio Dio creo’ il cielo e la terra  (Gn 1 1) : dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo » * CEC 280. Per questo le letture della Veglia Pasquale, celebrazione della nuova creazione in Cristo, iniziano con il racconto della creazione (CEC 281).. L’Incarnazione supera infinitamente la creazione del mondo. Si tratta, li’, di un’affermazione dottrinale molto importante per poter situare bene la nozione di grande e di piccolo. Dal punto di vista delle dimensioni materiali, la creazione del mondo sembra infinitamente più importante. In comparazione, il piccolo avvenimento di Betlemme, ignorato in primo luogo dagli storici, non merita nemmeno di essere menzionato. Secondo l’aspetto quantitativo, quindi, la creazione è più importante dell’Incarnazione. Ma, considerando che un solo cuore umano rappresenta un nuovo ordine di grandezza rispetto a tutto il cosmo, come dice Pascal, possiamo comprendere, e soltanto allora, che cio’ che è accaduto è di tutt’altro ordine di importanza : Dio si fa uomo ; Lui, il Creatore, il Logos eterno, si abbassa in quest’esistenza umana. Si apre una nuova dimensione, al cui confronto la dimensione materiale, apparentemente incommensurabile, le è in realtà molto inferiore *  Cardinale Joseph Ratzinger, Voici quel est notre Dieu, (Ecco qual’è il nostro Dio), Plon/Mame 2005, p. 152, 153..

Numerosi sono i passaggi del Vangelo che rivelano che la natura intera non è soltanto inferiore, ma sottomessa a Cristo, sottomessa al Verbo incarnato : l’acqua trasformata in vino, la tempesta sedata, la guarigione degli ammalati, la risurrezione dei morti… L’ultima sera, Egli dice sul pane : « Questo è il mio corpo », e il pane diventa il suo corpo ; e sul vino : « Questo è il mio sangue », et il vino diventa il suo sangue. E per questi cambiamenti, non ci lascia lo stupore di vederlo, ma la gioia di crederlo. In tutti questi miracoli, Gesù domanda alla natura di obbedirgli ed essa obbedisce a Lui. Ma, al momento della sua morte, essa stessa confessa di essere stata colpita nelle sue opere vive : le tenebre che si spandono, il sole che si oscura, la terra che trema, le rocce che si spaccano, i morti che resuscitano. Come sarebbe andato a finire se Colui che è appena morto non fosse salito sulla croce giustamente per salvare tutto ?  San Paolo riassumerà questi fatti evangelici nella formula : Tutto sussiste in Lui (Col 1 17). Scriverà ugualmente ai cristiani di Roma che la creazione attende con gran desiderio la manifestazione dei figli di Dio. La creazione, infatti, fu sottoposta alla vanità, non di sua volontà, ma a causa di Colui che ve la sottopose, con la speranza che la creazione stessa un giorno sarà liberata dalla servitù della corruzione, per aver parte alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, infatti, che fino ad ora la creazione tutta geme e soffre nelle doglie del parto  (Rm 8 19-23). Nonostante questi gemiti, nonostante questi dolori del parto, la creazione intera ha vocazione a lodare e a cantare il Creatore e ad entrare nel suo riposo.

La creazione ha vocazione ad entrare nel riposo divino

Il primo racconto della creazione ha due punti culminanti : 1. la creazione dell’uomo e della donna ; 2. il riposo divino. Quest’ultimo è menzionato con insistenza : Iddio conclue al settimo giorno l’opera sua, e in quel giorno cesso’ da ogni opera da Lui fatta, e benedisse quel giorno e lo santifico’, perché in esso aveva cessato da tutta la sua attività creatrice (Gn 2 2-3). Ci possiamo interrogare sull’insistenza del riposo divino. Bisogna notare che, intenzionalmente, viene qui omessa la formula impiegata per gli altri giorni : e fu sera e fu mattina. Il riposo divino è, in effetti, illimitato nel tempo : è eterno. E se Dio vuole che l’uomo lavori sulla terra, gli insegna anche, grazie alla legge del sabato, che la sua vocazione ultima non è il lavoro, ma la partecipazione al riposo divino.

Israele vedeva nel sabato uno dei segni caratteristici dell’alleanza divina che faceva di lui il popolo eletto. Ora, qual’è il senso del sabato dato ad Israele ? Esso relativizza le opere degli uomini, il contenuto dei sei giorni lavorativi. Protegge l’uomo che occuperebbe totalmente il suo tempo ad assogettare la terra. Previene la perversione che farebbe dire : « il lavoro fu la sua vita ». Segnala all’uomo che non porterà a compimento la sua umanità nella relazione al mondo che egli trasforma, ma quando volgerà il suo sguardo verso l’alto. L’essenza dell’uomo non è il lavoro. L’uomo è prima di tutto rapportato a Dio, siccome ne è l’immagine. Ma che cosa significa la presentazione dell’opera divina « in principio » come archetipo della settimana umana, se non che l’uomo dovrà vivere ad immagine di Colui che l’ha creata ?

Nel nuovo Testamento, il beneficio dell’alleanza è esteso a tutti gli uomini ed il capitolo 4 della Lettera agli Ebrei assegna ai cristiani, come fine ultimo e come vocazione, di entrare nel riposo divino. Impariamo, quindi a « gustare » quanto è sublime il finale di questo racconto sacerdotale della creazione, che ci suggerisce discretamente la partecipazione dell’uomo ad un bene divino propriamente ineffabile *  André FEUILLET, Histoire du Salut de l’humanité d’après les premiers chapitres de la Genèse, (Storia della salvezza dell’umanità secondo i primi capitoli della Genesi), Pierre TEQUI Editeur, 1995, p. 54 e 55 (André FEUILLET fa riferimento, per una parte di queste righe, a G. Von RAD, La Genèse (La Genesi), p. 59-60, e a H. BLOCHER, Révélation des origines (Rivelazione delle origini), Losanna , 1979, p. 49-50.) : riposare in Dio.

La Creazione intera canta

Fin dall’inizio del cielo, le coorti angeliche cantavano le lodi di Dio. Possiamo esserne sicuri ed affermarlo, non perché un umano abbia avuto l’occasione di udirle « sul posto », ma perché Dio stesso ce lo insegna, quando la sua sapienza creatrice confonde Giobbe (Jb 38 1-7) : Il Signore rispose a Giacobbe di mezzo alla tempesta e disse : Chi è costui che intorbida i miei consigli con parole prive di senso ? Cingi qual prode i tuoi lombi : io ti interroghero’ e tu mi istruirai ! Ov’eri tu, quando io fondavo la terra ? Parla, se possiedi intelligenza. Chi fisso’ le sue dimensioni, che tu sappia, e chi distese sovr’essa la corda ? Su che cosa stanno fissi i suoi cardini e chi getto’ la sua pietra angolare, tra il conrteo gioioso delle stelle del mattino e le acclamazioni unanimi dei figli di Dio ? Cosi’, quindi, nel momento in cui la terra è stata creata, le stelle cantavano e tutti i figli di Dio, ossia gli angeli, cantavano anch’essi. E che cosa cantavano ? Cantavano dei cantici che solo Dio ha inteso, siccome gli uomini non esistevano ancora. Tuttavia, ne esiste uno che noi conosciamo. Il profeta Isaia lo ha ascoltato e raccolto, più tardi, dalla bocca dei serafini :  Santo, santo, santo il Signore degli eserciti, tutta la terra è ripiena della sua gloria (Is 6 3). Ad ogni messa, la liturgia ci fa proclamare, con gli angeli e tutti i santi, questo stesso canto : Santo ! Santo ! Santo, il Signore, Dio dell’uuniverso ! I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli. *  Se uno ha ben coscienza della santità di Colui a cui si rivolge questo canto ; se uno ha ben coscienza ugualmente dell’universalità dell’assemblea che lo proclama (gli angeli e tutti i beati del cielo, i defunti che portano a termine la loro purificazione, i pellegrini che noi siamo sulla terra, e tutte le creature), possiamo cogliere l’occasione per trarre la conclusione che il Sanctus è il principale canto di tutta la liturgia della Chiesa. Se, per un qualsiasi motivo, potessimo cantare soltanto un canto durante la messa, dovrebbe essere questo qui.  

I tre stati della Creazione

Il testo di San Paolo che abbiamo citato in precedenza (Rm 8 18-23) : Tutta la creazione è tesa nella speranza… ci ricorda che esistono tre stati nei rapporti tra l’uomo e la creazione *  Il contenuto di questo paragrafo intitolato Les trois états de la création (I tre stati della creazione) è estratto dall’opera di Olivier ROUSSET, Par la bouche des enfants (Dalla bocca dei bambini), Pierre TEQUI Editeur, 1973, da p. 102 a p. 105.. Il primo, precedente alla caduta, è definito da questo passaggio della Genesi (Gn 1 26-31) in cui Dio dice (in riassunto) : Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza e che egli domini su tutto quanto è vivente e su tutta la terra. Il secondo stato, dopo la caduta, è cosi’ descritto nello stesso libro (Gn 3 14-20). Dio parla ad Adamo : Poiché hai disobbedito, sia maledetta la terra per cagion tua. Con fatica trarrai da essa il nutrimento. Ma, attraverso San Paolo, lo Spirito Santo aggiunge ancora qualche cosa a questa duplice rivelazione : ci fa conoscere il terzo stato della creazione. Possiamo rileggere la lettera di San Paolo ai Romani ; questi precisa bene che se la creazione è messa dall’uomo al servizio del male, questo è contro il suo consenso. Di sua spontanea volontà, rifiuterebbe, allora, di servire. Il mare rigetterebbe i pirati sulla costa, ma Dio non gli permette di rivoltarsi. Allora li porterà sul cammino della loro preda.  

Eccoci davanti ad un grande mistero, che è nel cuore stesso della natura. Sappiamo che è stata creata dal Figlio diletto del Padre, da Lui e per Lui, dice l’epistola ai Colossesi.  E tutte le cose sussistono in Lui.  Tuttavia, tali e quali, Egli le ha stabilite tutte nella dipendenza dell’uomo e le ha sottomesse a lui, per la loro gioia. Ma quando l’uomo ha peccato, questa gioia si è cambiata in pena, perché si sono trovate al servizio del male. Esse rifiuterebbero questa schiavitù, ma Dio le obbliga ad accettare. Ora, in questa stessa violenza che viene loro fatta, esse trovano una ragione di sperare. Dio agisce cosi’ solo perché ha il disegno di rendere all’uomo quella libertà di amare che ha perso. Tutta la creazione è legata nella servitù, ma ella è anche tutta tesa verso la libertà dei figli di Dio. E noi sappiamo che questa speranza è già riempita poiché, nell’anima dei santi, le creature hanno veramente parte a questa libertà e, siccome il cristiano è egli stesso Cristo  (essere cristiano, non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Ga 2 20)) esse ritrovano fino nel bambino piccolo appena battezzato Colui attraverso il quale e per il quale sono state create e in cui sussistono.

Questo doppio potere che gli uomini hanno sulla natura, nel male e nel bene, viene da noi esercitato e tutti lo esercitano attorno a noi. Ma noi facciamo parte dei santi attraverso i quali le creature hanno già ritrovato la loro gioia ?  Sappiamo che mancavano dieci giusti a Sodoma per trattenere le cataratte di zolfo e di fuoco. Al contrario, c’è San Francesco di Assisi che rende il lupo di Gubbio un agnellino ; c’è Santa Scolastica che scatena il temporale per impedire a suo fratello, San Benedetto, di abbandonarla cosi’ rapidamente, lui che voleva solo obbedire alla regola del suo convento ; c’è il cane di San Giovanni Bosco, che appare come suo guardiano nelle strade malfamate ; c’è la montagna che Gregorio sposta con una parola ; ci sono gli uccelli che si riuniscono per cantare sotto le finestre della camera dove muore Santa Teresa di Lisieux.  Tutto questo è semplice e naturale e riprende e prolunga le meraviglie del Vangelo, i malati guariti, i morti resuscitati, la tempesta sedata, i pani moltiplicati.

E quale somiglianza misteriosa tra la natura ed il Regno dei Cieli ! Tutto, nella natura, ci parla di Lui : il pozzo di Giacobbe, le messi che imbiondiscono, il fico sterile, gli uccelli dei campi e, prima del Vangelo, il pesce di Tobia, l’asina di Balaam, la complicità del mar Rosso… Sempre e ovunque è la stessa creazione che si rivela, pronta ad entrare nella libertà dei figli di Dio, fino a quel momento infine raggiunto, quella gioia definitiva infine posseduta, di cui San Giovanni è testimone nell’Apocalisse : E tutte le creature che sono in cielo e sopra la terra e sotto la terra e sul mare, quante ve ne sono, le sentii tutte che dicevano : « A Dio che è assiso sul trono e all’Agnello sia lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli ! » (Ap 5 13).

IL CANTICO DELLE CREATURE

Circonstanze della composizione del Cantico delle Creature

Si è potuto dire che questo poema accompagni come un ritornello la vita intera di Francesco d’Assisi e che se ne ritrovino ogni istante delle briciole nel corso ordinario dei suoi discorsi. Resta tuttavia il fatto che esso sgorghi, nella sua forma compiuta, al termine di un lungo itinerario spirituale. Sono trascorsi circa venti anni dalla conversione di Francesco alla vita evangelica. Venti anni durante i quali si è applicato, giorno dopo giorno, a seguire le tracce del Signore, meditando incessantemente « l’avvenimento di dolcezza » e la passione del Figlio di Dio altissimo. Ed ecco che ha appena ricevuto nella sua carne, sul monte Alverno, le stigmate che lo rendono pienamente rassomigliante a Cristo crocifisso. Perdendo il suo sangue da tutte le ferite, stremato dai digiuni e dalla malattia, cieco e quasi agonizzante, Francesco non è più altro che « con Cristo,una cosa sola sofferente e redentrice » secondo le parole di Claudel. *  In questa parte del capitolo che tratta del cantiso delle creature, un’ampia parte dei commenti è estratta da  Eloi LECLERC (ofm), Le Cantique des créatures – Une lecture de Saint François d'Assise, (Il Cantico delle Creature – Una lettura di San Francesco di Assisi), Desclée de Brouwer, 1988 (pp. da 8 a 10 per i commenti di questo §, dall’inizio del § fino a : …qu’il vient de composer (che ha appena composto)). Questi estratti non potranno, in ogni caso, rimpiazzare la lettura meditativa del libro di Eloi LECLERC che viene caldamente raccomandata a chi vuole veramente approfondire il Cantico delle Creature. Tuttavia, il sottotitolo scelto da Fratello Eloi per la sua opera (ossia, Una lettura di San Francesco di Assisi) suggerisce al lettore che la ricchezza spirituale contenuta in questo cantico di fratello sole è ben lungi dall’essere esaurita, un po’ come i raggi del sole che non sono certo in procinto di spegnersi… Tocca a ciascuno, quindi, cantare questo cantico e farlo risuonare nel più profondo della propria anima.  

E’ allora che si produce l’avvenimento. Venendo dall’Alverno, Francesco, all’estremo delle forze, si ferma al monastero di San Damiano dove vivono Chiara e le sue sorelle. Chiara lo installa in una cella vicina al convento. Ma le sofferenze non lasciano alcuna tregua a Francesco. « Sono cinquanta giorni e più senza poter sopportare la luce del sole durante il giorno, né il chiarore del fuoco durante la notte… I suoi occhi lo fanno talmente soffrire che non puo’ riposarsi e che praticamente non dorme mai… ». Ora, una notte, mentre riflette a tutte le tribolazioni che deve sopportare, ha pietà di se stesso e dice interiormente : « Signore, vieni in mio soccorso nelle infermità, affiché io abbia la forza di sopportarle pazientemente !» (LP 43). Celano lascia capire che si sta svolgendo un combattimento nell’anima di Francesco e che questi prega per resistere alla tentazione dello scoraggiamento. Durante l’agonia, sente improvvisamente in spirito una voce : « Dimmi, fratello, se in ricompensa delle tue sofferenze e tribolazioni ti venisse dato un tesoro immenso e prezioso : la massa della terra cambiata in oro puro, i sassi in pietre preziose e l’acqua dei fiumi in profumo, non considereresti allora come niente, dopo un simile tesoro, la terra, i sassi e le acque ? Non ne saresti felice ? » Il beato Francesco risponde : « Signore, sarebbe un grandissimo tesoro, preziosissimo, inestimabile, al di là di tutto cio’ che si possa amare e desiderare ! » « Eh beh, fratello ! » dice la voce, « rallegrati e stai nella gioia durante le tue infermità e tribolazioni : fin d’ora, vivi in pace, come se tu condividessi di già il mio regno » (LP 43 – 2 C 213).

Immediatamente, una gioia soprannaturale invade l’anima di Francesco : la gioia della certezza del Regno. Sa, ora, che la via che ha seguito – la via della sofferenza con Cristo – è la strada « che conduce nella terra dei viventi » (2 Reg 6). In quell’istante, nella sua anima avviene come una splendida alba. Al mattino, chiama i suoi compagni ; non tenendo più dalla gioia, si mette a cantare loro il Cantico delle Creature che ha appena composto.

Il Cantico delle Creature porpriamente detto termina con la strofa dedicata a « nostra sorella madre Terra ». Tuttavia, Francesco ha voluto aggiungere al suo cantico altre due strofe. Queste gli sono state ispirate a posteriori e in circostanze particolari. Mentre tutta la prima parte del cantico è datata all’autunno  1225, la penultima strofa è stata composta nel luglio 1226, nel palazzo del vescovado di Assisi, per mettere fine alla lotta tra il vescovo e il podestà della città ; si tratta, essenzialmente, di una lode al perdono e alla pace *  Ibid E. LECLERC, estratti da p. 175.. L’ultima strofa è composta all’inizio dell’ottobre 1226, quando Francesco è già quasi agonizzante (ricordiamoci che Francesco è morto nella notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226) ; è un saluto di benvenuto che l’autore rivolge alla propria morte *  Ibid E. LECLERC, estratti da p. 187..

Lode cosmica e canto delle profondità del cuore

E’ impossibile capire questo cantico senza collegarlo direttamente all’esperienza profonda di Francesco, alla sua aspra sofferenza, alla sua pazienza eroica, al suo combattimento quotidiano per i valori evangelici, alla sua gioia soprannaturale, in breve, alla sua esistenza intima con Cristo. Questo cantico sorge dalle profondità di un’esistenza. Ne è il compimento e, senza dubbio, la più alta espressione. Ora, a prima vista, vi è questo di sorpendente : quest’uomo i cui occhi malati non sopportano più la luce, che non gioisce più della vista delle creature, che non ha altra cura che per lo splendore del Regno, quest’uomo, per esprimere la sua gioia, canta la materia : la materia ardente e splendente, il sole e il fuoco ; la materia che nutre, l’aria, l’acqua e la terra. E in tutto questo canto non vi è un solo riferimento, la minima allusione al mistero soprannaturale di Cristo e del suo Regno ! Solo le realtà materiali sono evocate e celebrate a lode e gloria dell’Altissimo. *  Ibid E. LECLERC, estratti da p.10.

Ma questa dimensione cosmica, per quanto sia reale, non si lascia separare, in Francesco, dall’altra dimensione della sua vita spirituale, quella della sua unione a Dio attraverso l’umile cammino dell’Incarnazione del Figlio di Dio Altissimo. *  Ibid E. LECLERC, estratti da p. 12 Cio’ che mette sulla via di una tale interpretazione, sono le aggiunte delle ultime due strofe di lode, dove non è citato alcun elemento cosmico. Perché Francesco aggiunge delle strofe che non contengono alcun elemento cosmico a un cantico che le utilizza sistematicamente nella prima composizione ? Per parlare del perdono o della morte corporale, Francesco avrabbe potuto semplicemente scrivere un altro cantico o un’ammonizione. Perché aggiungere queste due ultime strofe alle precedenti ? Se cosi’ è, vi è certamente un legame che unisce l’insieme e che fa si’ che le due strofe aggiunte si trovino esattamente « al loro posto » nel cantico di Frate Sole composto da Francesco.

E’ chiaro, quindi, che ci troviamo di fronte ad un testo di cui non abbiamo esaurito la ricchezza. Le realtà cosmiche che sono qui evocate e celebrate sono allo stesso tempo degli oggetti e dei simboli. Sono certamente degli oggetti. Non dobbiamo perdere di vista questo aspetto realista del Cantico delle creature. Quando Francesco canta il sole, la luna e le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco e la terra, parla di realtà che tutti possono vedere. Ma questo canto non è solo una designazione di elementi materiali. Queste realtà cosmiche, debitamente valorizzate, esprimono anche altro : sono persino un linguaggio incosciente *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. 26-27., un canto delle profondità segrete dell’anima. Il cammino dell’anima di Francesco, e più largamente dell’anima umana è il legame che assicura la perfetta coesione dell’insieme del cantico.

Struttura del Cantico

Il Cantico delle Creature non è una semplice successione di immagini. Queste sono collegate tra di loro e formano un insieme costruito. Se lasciamo da parte, per il momento, le ultime due strofe di lode che riguardano il perdono e « nostra sorella morte », come si presenta l’opera ?  

In questo cantico si possono vedere sette strofe. La prima è una strofa di invio, una sorta di dedica ; indica a chi è rivolta la lode : « Altissimo, onnipotente e buon Signore… ». Poi, viene il Cantico delle Creature propriamente detto, ripartito in sei strofe il cui ordine di successione è il seguente :

Basta considerare attentamente questa disposizione degli elementi cosmici per convincersi del fatto che questo poema obbedisca ad una certa struttura che, anche se l’autore ha probabilmente agito in maniera incosciente, non è per questo meno rigorosa e altamente significativa. Due cose, in effetti, colpiscono in questa composizione.  

In primo luogo, è l’alternanza regolare delle denominazioni « fratello » e sorella ». Queste denominazioni non sono distribuite a caso. Vanno a coppie. In questo modo, abbiamo tre coppie fraterne che si susseguono :  

Da sempre, l’immaginazione ha amato mettere in coppia alcuni elementi cosmici. I miti e le religioni primitive offrono numerosi esempi di tali accoppiamenti, come la coppia « Cielo – Terra » evocata da Esiodo che è uno dei temi della mitologia universale. Le coppie che Francesco ha potuto formare nel suo Cantico appartengono alla simbologia universale. Rivelano delle strutture immaginative fondamentali, gli archetipi dell’incosciente collettivo. Attraverso queste grandi strutture, l’uomo da sempre si è rappresentato spontaneamente a se stesso le sue esperienze più profonde e più decisive riguardo al suo destino. A questo livello, possiamo concludere allo stesso modo del paragrafo precedente : cio’ che viene espresso nel Cantico delle Creature sotto l’apparenza di una lode cosmica, riguarda le profondità dell’uomo. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 35 a 38 (per l’inizio di questo paragrafo fino a questo riferimento di nota a pié di pagina).

Un secondo tratto nella struttura di questo poema attira l’attenzione : Francesco comincia con il lodare Messere frate Sole, questo lontano elemento cosmico, simbolo dell’Altissimo, poi prosegue la sua lode scendendo gradualmente verso delle realtà sempre più vicine, terminando con nostra sorella madre Terra che ci sostenta e ci governa. Questo movimento discendente richiama il modo di intervento scelto da Dio per riparare l’orgoglio folle di Adamo ed Eva che avevano voluto diventare come degli dei (Gn 3 5), che avevano voluto prendere il posto del loro Creatore e divenire il loro proprio sole. Dio Amore, Egli, si è abbassato. E’ disceso. Ha preso la nostra condizione umana. L’amore è cio’ che non si eleva ma si abbassa. L’amore mostra che è questo abbassamento che costituisce la vera promozione. Noi ci eleviamo quando ci abbassiamo, quando diventiamo semplici, quando ci interessiamo ai poveri e ai piccoli. Dio si abbassa per sgonfiare l’uomo e per rimetterlo al suo posto. Vista cosi’, la legge dell’abbassamento è il modello fondamentale dell’agire divino. Ci permette di conoscere qualche cosa di essenziale di Dio e di noi stessi *  Ibid Joseph RATZINGER, p. 151.. Francesco canta questo abbassamento nel suo Cantico. Francesco rivolge il suo canto all’Altissimo, che nessun uomo è degno di nominare, ma lo fa alla maniera di Gesù Cristo, che si è abbassato prendendo la nostra condizione umana. Cantando il suo cantico rivolto al Padre, è quindi Cristo che vive in Francesco che lo canta, e non Francesco stesso. E’ la ragione per cui Cristo non è espressamente menzionato, poiché agli occhi di Francesco è Cristo che lo rivolge al Padre attraverso di lui, che ha ricevuto le stigmate sull’Alverno.  

Altissimo, potente e buon Signore

Il Cantico del Sole si apre con il qualificativo di Altissimo dato al Signore. Mentre gli altri qualificativi (onnipotente e buono) non sono più utilizzati per designare Dio stesso nel seguito del testo, il qualificativo Altissimo ritorna altre tre volte nel Cantico. Senza alcun dubbio, questo traduce un’intenzione dell’anima, la sua aspirazione più elevata, il suo slancio verso il divino. Questo movimento verticale è affermato potentemente nelle prime strofe :  

Ora, ecco che questo movimento verso l’Altissimo si scontra con una presa di coscienza : E nessun uomo è degno di nominarti. Qui non si tratta di una frase edificante, detta per inciso. Queste parole esprimono un atteggiamento fondamentale : una povertà essenziale di fronte alla trascendenza di Dio. Alcuna lode, per quanto alta, saprebbe esprimere il mistero di Dio. Francesco ne ha coscienza ; lo riconosce e lo accetta. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. 43 e 44.

Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature

Francesco si volge allora verso le creature:  Che tu sia lodato, o mio Signore, con tutte le tue creature. Questo versetto, veramente, è ben più che una semplice transizione ; marca un movimento decisivo nell’insieme del cantico. La prima strofa si è terminata con la confessione dell’indegnità dell’uomo. Tuttavia Francesco non rinuncia a cantare l’inaccessibile lode. Ma il suo sguardo si volge ora verso il mondo, verso le creature. Con loro loderà l’altissimo, prendendo posto tra di loro. Infatti, Francesco prova per le creature una particolare simpatia : Non si è mai visto un simile affetto per tutte le creature, scrive Celano. Chi potrebbe descrivere la dolcezza che inondava la sua anima… ? A contemplare il sole, la luna, il firmamento e tutte le stelle, sentiva salire nel suo cuore una gioia ineffabile (1 C 80). Questa simpatia e questa gioia non si fermavano in superficie, ma andavano in profondità : Chiamava fratelli tutti gli esseri e, in un modo totalmente sconosciuto e inaccessibile agli altri, grazie alla perspicacità del suo cuore, sapeva penetrare al fondo più intimo di ogni creatura, come se gioisse già della gloriosa libertà dei figli di Dio  (1 C 81). *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. 60, 44 e 45.

La celebrazione del Sole

La prima immagine cosmica del cantico è quella di messere fratello Sole.  L’autore dello Speculum dice a questo proposito : Francesco considerava e diceva che il Sole è più bello delle altre creature e puo’ essere più delle altre assimilato a Dio, perché nelle Scritture il Signore stesso è chiamato « Sole di giustizia ». Per questo ha messo il suo nome per primo nelle lodi che fece sulle creature del Signore quando questi gli ebbe assicurato che avrebbe fatto parte del suo Regno, e lo chiamo’ Cantico di frate Sole (Sp 119). Questo spiega l’importanza dell’immagine del sole. Non è soltanto la prima, ma tutto il cantico delle Creature è interamente posto sotto il suo segno. La celebrazione francescana del sole è innanzitutto l’espressione di una meraviglia di fronte ad una « cosa splendida ». L’uomo che, in grande umiltà, ha rinunciato a nominare l’Altissimo e si è rivolto alle realtà di quaggiù per farne il cammino della sua lode, raggiunge la sostanza inesauribile e gustosa delle cose. Nessuno potrà capire il Cantico del Sole se non sa vedere in esso l’espressione di una gioia immensa e profonda, presa nella realtà delle cose. Ora, questa gioia fu per Francesco, innanzitutto, la gioia della luce. Notiamo come il qualificativo bello, che ritorna per tre volte nel suo cantico, è ogni volta atribuito ad una realtà cosmica che, in un modo o nell’altro, è fonte di luce : il sole, la luna e le stelle ed il fuoco. Cosi’, tutte le immagini di luce sono da lui esplicitamente qualificate come « belle ».  Per Francesco, la materia bella per eccellenza è la materia splendente. Il cosmo è per lui innanzitutto un’epifania di luce. E, in quest’Epifania, il sole è il protagonista.  

La parte finale della strofa, de Te, Altissimo, porta significatione (di Te, Altissimo, è il simbolo), dà alla lode la sua piena dimensione, una dimensione che parla all’anima e non più soltanto agli occhi. Lo splendore e la generosità di cui riluce nell’alto del cielo sono per l’anima come il fascino ed il simbolo di una realtà sovrana. In comunione, attraverso l’immaginazione, con questa alta immagine di luce, l’anima vi riceve il beneficio di una rivelazione trascendentale; essa vi vede la manifestazione e la cifra dell’Altissimo, il simbolo di Colui che essa si giudicava indegna di nominare ma al quale non cessa di aspirare e di rapportarsi nella sua lode.   

E’ innegabile che Francesco abbia fatto un esperienza cosmica della sacralità *  Per aiutarci a capire bene, ascoltiamo San Paolo che ci dice :  Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.  ( Rm 12 1). Sappiamo che il verbo « sacrificare » (sacrum facere) vuole dire « rendere sacro » ; e’ sacro tutto cio’ che è in realzione con Dio ; si potrebbe quindi tradurre cosi’ San Paolo : « Vi esorto a fare delle vostre persone e della vostra vita una relazione permanente con Dio. »  . Ma è molto importante misurare la profondità di quest’esperienza. Questa non si lascia separare da un’esplorazione della sacralità nell’anima stessa. Per esserne convinti, riferiamoci al nostro testo. Vediamo qui una cosa sorprendente, paradossale : mentre si è appena detto indegno di nominare l’Altissimo, Francesco si considera qui come fratello del Sole, di cui ci dice che è simbolo dell’Altissimo. Che cosa significa, dunque, questa dichiarazione di fraternità riguardo ad un’immagine cosi’ alta ? Salutare come un fratello messere sole non significa forse riconoscere tra il sole e colui che lo loda una parentela profonda ? Non è forse confessare una consanguineità ?  Quindi, questo sole che Francesco trova cosi’ bello e con il quale scopre di avere una stretta parentela non cade unicamente dalle altezze del cielo cosmico ; risplende dal centro di lui stesso, a partire dalle profondità dell’anima *  L’anima che è inondata dal sacramento del battesimo, sacramento che non purifica soltanto da tutti i peccati, ma che fa anche del neofita « una novella creazione » (2 Co 5 17), un figlio adottivo di Dio (Ga 4 5-7) che è divenuto partecipe della natura divina (2 P 1 4), membra di Cristo (1 CO 6 15) e coerede con Lui (Rm 8 17), tempio dello Spirito Santo (1 Co 6 19). CEC 1265., come una profezia del suo divenire totale. L’anima di Francesco riconosce e celebra, anche se inconsciamente, la sua propria trasfigurazione, la sua grande metamorfosi nel Regno. Come se tu condividessi già il mio Regno…, gli ha detto la voce. Questa sostanza meravigliosa del sole, tutta di luce, cosi’ fraterna e nel contempo marcata dall’impronta dell’Altissimo è l’immagine incosciente, ma oh quanto espressiva, dell’anima che si coglie nella pienezza delle sue energie e del suo destino. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 67 a 85.

Le luci della notte

Non ci possiamo impedire di notare che la luna e le stelle sono qui, come precedentemente il sole, l’oggetto di un affetto fraterno : esse sono chiamate sorelle, e questa espressione significa qualcosa per Francesco ; essa lascia trasparire dei legami intimi tra di lui e queste realtà cosmiche. D’altra parte, queste non sono semplicemente evocate : sono immaginate, sognate. Il solo qualificativo preziose la dice lunga al riguardo ; rivela una valorizzazione della materia cosmica che, bisogna riconoscerlo, non ha alcun « senso » oggettivo. Delle Stelle preziose : ecco un accostamento di parole che va ben al di là del loro senso abituale.

La prima cosa che la lode di Francesco  mette in luce è il posto privilegiato che queste realtà cosmiche occupano nell’insieme della creazione : in cielo le hai formate. Il cielo, nel linguaggio poetico e religioso, designa la sfera dell’Altissimo. Cosi’, sorella Luna e le Stelle portano già lo sguardo al di là di questo mondo. Ma è soprattutto la maniera in cui Francesco sa vederli e contemplarli che questi elementi cosmici appaiono qui come espressione di una realtà trascendente : tu le hai formate, chiare, preziose e belle. Fermiamoci a questi qualificativi. Nella loro semplicità, esprimono una meraviglia. La luna e le stelle sono per Francesco delle sorelle luminose (chiare).  E’ la loro chiarezza che prima di tutto lo incanta e non il lato tenebroso di queste creature. Ma dei tre qualificativi dati qui alla luna e alle stelle, quello di preziose merita un’attenzione particolare. Questo qualificativo evoca una realtà alla quale si collega un alto prezzo. Nei suoi Scritti, Francesco lo usa solo per designare la qualità che devono avere gli oggetti che servono alla celebrazione del mistero eucaristico ed i luoghi in cui il santissimo Corpo del Signore è conservato (Test 11, 2 Let 11, 6 Let 4). Questi oggetti e questi luoghi devono essere preziosi. Quindi, negli scritti di Francesco, la qualità preziosa delle cose è sempre evocata in stretta relazione con una realtà sacra. Essa è richiesta per questa realtà : deve, in qualche sorta, esprimerla. L’oggetto prezioso non è qui voluto per se stesso, ma è visto come un segno del sacro. Riprendendo il qualificativo  prezioso nel suo Cantico e applicandolo questa volta alla luna e alle stelle, Francesco valorizza questi elementi in un senso religioso ; significa che queste realtà cosmiche sono rivestite per lui di una espressività sacrale, che sono un lignuaggio del sacro.  

In questa immagine di una affascinante bellezza, Francesco contempla un tesoro immenso che non gli è estraneo. Lo riconosce lui stesso implicitamente, chiamando col nome di sorella questa materia chiara, preziosa e bella. Non è la confessione di una stretta parentela ? L’anima esplora la propria sacralità decifrando quella del mondo. Chiara, preziosa e bella è l’anima di Francesco, creata ad immagine di Dio, a sua somiglianza… *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 87 a 101.   

La canzone del vento…

Insensibilmente, il Cantico del Sole prende il colore della Terra. Diventa il canto delle cose semplici, stranamente vicine. Il vento e l’aria sono ancora, è vero, dagli elementi che lasciano l’anima tra cielo e terra. Ma si puo’ separare fratello Vento e sorella Acqua ? Insieme formano una coppia fraterna. Nella Bibbia possiamo trovare numerosi esempi di questa associazione del vento e dell’acqua. All’inizio della Genesi leggiamo : Il soffio di Dio planava sulle acque (Gn 1 22). Nell’Esodo, il vento e l’acqua sono uniti e coniugano i loro sforzi per la liberazione del popolo : E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d'oriente…  le acque si divisero … (Ex 14 21 22)… Alla fine del paragrafo che ci parlerà di sorella Acqua, torneremo su questa coppia fraterna.  

Fratello vento : queste due parole associate ci introducono in un mondo che non è più soltanto quello della metereologia. Il vento ha un volto, un’anima. Quando si parla cosi’ del vento, vi è qualcuno nel vento. In verità, colui che dice Fratello Vento si riconosce in accordo, imparentato, dall’interno di se stesso, ad un certo ambiente cosmico. L’ambiente del vento è quello di un mondo esposto, aperto, dove si riversa una potenza che non vi lascia in riposo e che vi porta sempre più lontano, una potenza che non soffre alcuna sistemazione e abbatte ogni barriera. Per fraternizzare con il vento bisogna essere distaccato da molte cose, aperto ai rinnovamenti interiori. Bisogna essere povero. E mentre Francesco ascolta la canzone del vento e si espone al suo soffio fraterno, la sua anima denudata aspira ad aprirsi sempre più largamente allo Spirito del Signore. Lui stesso confessa che il suo desiderio supremo è di aver parte a questo Spirito e di essere preso nella grande inspirazione di Dio (2 Reg 10).

Dopo l’appellativo di Fratello dato al vento, veniamo alle altre qualità riconosciute da Francesco. Ma, a nostra grande sorpresa, qui non troviamo alcun qualificativo. Mentre tutti gli altri elementi cosmici del cantico sono riccamente qualificati, fratello Vento  è in qualche sorta abbandonato a se stesso. Ma, d’altra parte, fratello Vento è celebrato in tutte le sue manifestazioni : l’aria, le nuvole, l’azzurro calmo e tutti i tempi. Tutti i tempi ! Il buono e il cattivo tempo ! Francesco non sceglie, quindi, il suo tempo. E’ aperto ed accogliente verso i quattro venti della creazione. Per lui, non esiste più un cattivo tempo. La celebrazione poetica del vento nella pienezza delle sue manifestazioni è significativa di un’anima che aspira ad aprirsi alla totalità dell’Essere e delle sue ispirazioni. Francesco dà la ragione di questa lode per tutti i tempi : per il quale dai sostentamento alle tue creature. Accolto nella totalità delle sue manifestazioni, fratello Vento è qui direttamente associato all’opera creatrice.  

Certamente, ci possiamo interrogare : Francesco conosceva le manifestazioni del vento sotto forma di tornado o di uragano ? Queste sono infatti ben lontane dal sostenere le creature. Comunque sia, vediamo bene che questa immagine del vento come detta da Francesco è ingrandita, come « sopra – valorizzata ». E’ un linguaggio simbolico, sognato, l’espressione di cio’ che l’anima ricerca profondamente. Questo linguaggio esprime la relazione dell’anima con la sacralità. La valorizzazione qui è, in effetti, essenzialmente religiosa. In fondo, cio’ che il poeta chiede all’immagine di fratello Vento è che gli manifesti qualcosa dell’Altissimo e gli permetta di rapportarvisi. Fratello Vento non è qui celebrato come l’artigiano di un compito cosmico, bensi’ come l’espressione di una presenza attenta e attiva di Dio verso la sua intera creazione. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 103 a 121.

… e dell’acqua

Abbiamo visto che Fratello Vento è celebrato come colui che apporta sostegno alle creature ; è associato all’opera creatrice. La valorizzazione si fa qui nel senso del dinamismo e dell’azione. Fratello Vento è l’artigiano di un compito. Invece, per quanto riguarda Sorella Acqua, è tutto diverso. I valori sono uniti direttamente alla sostanza stessa : « Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella Acqua che è molto utile e umile e preziosa e casta ». Questa lode non comporta alcun verbo di azione. Non viene riconosciuto a sorella Acqua alcun compito preciso. Il suo valore è nel suo stesso essere. Notiamo che si trattava della stessa cosa per la luna e le stelle. Ci sarebbe, quindi, nel cantico di Francesco, un’alternanza di due tipi di valorizzazione : una che va verso l’esterno, verso l’azione virile, con una gioia di immensità – ed è il caso per il sole, per il vento ed anche, lo vedremo, per il fuoco -, l’altra che va nel senso dell’intimità e delle profondità dell’essere – ed è il caso della luna, delle stelle, dell’acqua ed anche della terra.

Sui quattro appellativi dati a sorella Acqua, tre non possono evidentemente ricevere un « senso » obbiettivo. Solo il primo sembra andare da se : sorella Acqua che è molto utile. Implica l’idea di servizio, di carattere servizievole. Concorre a formare l’immagine che appare qui in filigrana nella sostanza dell’elemento cosmico, di una presenza femminile servizievole, benefica e al contempo riservata, segreta e pura. Ma in questa valorizzazione dell’Acqua, sono soprattutto gli ultimi due qualificativi che fanno riflettere : preziosa e casta. E’ la seconda volta che incontriamo in questo cantico il qualificativo prezioso. La prima volta si riferiva alle stelle e abbiamo visto che per Francesco si riferisce a cio’ che è sacro. E’ vero che sorella Acqua, rivaleggiando con il cielo stellato, sa scintillare come delle pietre preziose. La ripetizione di un tale qualificativo a proposito di realtà cosi’ diverse come le stelle e l’acqua ci invita a pensare che andando da un’immagine materiale all’altra, lo sguardo interiore di Francesco insegua incoscientemente una stessa realtà preziosa, una stessa realtà affascinante e di gran prezzo : un tesoro sacro. Non ci si deve, quindi, stupire di vedere questo qualificativo preziosa associato a quello di casta nell’immagine di sorella Acqua. I due attributi vanno nello stesso senso. L’acqua preziosa è un’acqua viva che sgorga dalle profondità inviolate, da una fonte nascosta, sacra.

Possiamo accostare questa lode di sorella Acqua, associata a quella di fratello Vento, a cio’ che San Francesco dice nella lettera a tutti i fedeli : Noi non dobbiamo essere né saggi né prudenti secondo la carne, ma dobbiamo piuttosto essere semplici, umili e puri… Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma dobbiamo piuttosto essere i servitori e i sottoposti di ogni creatura umana a causa di Dio. Lo Spirito del Signore riposerà su tutti coloro che agiranno cosi’ e persevereranno fino alla fine e farà in essi la sua abitazione e la sua dimora ed essi saranno i figli del Padre di cui compiono le opere ; saranno sposi, fratelli e madri di nostro Signore Gesù Cristo. L’uomo che rinuncia alla sua saggezza e alla sua volontà di dominazione, non è precisamente colui che acconsente ad essere cio’ che simboleggia sorella Acqua molto utile e umile, preziosa e casta ?  Ora, un tale uomo vive misteriosamente unito allo Spirito del Signore. Lo Spirito riposa su di lui come il Soffio creatore sulle acque primordiali, come fratello Vento su sorella Acqua. Lo Spirito del Signore penetra in lui nel punto più intimo e stabilisce in lui la sua dimora. E da questa unione risulta una nuova nascita, la nascita divina dell’uomo, la nascita del bambino divino nell’uomo : saranno i figli del Padre… Quanto significativa appare allora l’immagine dell’immenso e prezioso tesoro di cui si è servita la voce celeste per chiamare Francesco alla gioia : La massa della terra cambiata in oro puro, i sassi in pietre preziose e l’acqua dei fiumi in profumo  (LP 43, 2 C 213). Ed il Cantico del Sole canta questa curiosa metamorfosi nel cuore dell’uomo. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 103 a 121.

Fratello Fuoco

Il Cantico delle Creature manifesta una netta preferenza per le immagini di luce. Queste sono predominanti : viene, in primo luogo, l’immagine splendente di fratello Sole ; questa è immediatamente seguita da sorella Luna e dalle Stelle, che sono anch’esse delle immagini di luce, chiare, preziose e belle ; poi, in sorella Acqua, Francesco ritrova lo splendore prezioso delle stelle. Ed ecco fratello Fuoco ! Il bello, il gioioso, l’indomabile fratello Fuoco che illumina la notte. L’aggettivo qualificativo bello viene ripetuto tre volte in questo cantico, e ogni volta è attribuito ad un elemento luminoso. Sembra proprio che per Francesco, la materia bella per eccellenza, la materia di elezione dei suoi sogni sia la materia splendente: la luce, il fuoco.  

I termini utilizzati da Francesco per qualificare il fuoco mostrano che, per lui, il fuoco non è una cosa anonima. Diventa una presenza viva che risplende di gioia, bello e gioioso, un essere debordante di vita e di dinamismo, indomabile e forte. Il vigore, lo slancio, la forza invincibile, con la gioia e la vivacità, ecco cio’ che Francesco contempla in questo compagno che illumina la notte. E in questa immagine essenzialmente dinamica, Francesco riconosce una presenza fraterna ; la percepisce come tale, si sente legato a lei, intimamente, come dai legami del sangue ; in breve, lo chiama : fratello Fuoco.

Per il suo splendore e la sua energia, fratello Fuoco è l’analogo di fratello Sole. Come lui, è l’immagine del Padre e di Dio, della potenza vitale e creatrice. Tuttavia, fratello Fuoco è messo in relazione esplicita con l’immagine della notte : con il quale illumini la notte. Il sole è celebrato come la luce del giorno ; il fuoco è celebrato come la luce della notte. Come fratello Sole, fratello fuoco esprime la riconciliazione dell’anima, ma ce la mostra legata ad una traversata notturna. Non dobbiamo dimenticare che l’uomo che, alla sera della sua vita, canta la luce nel Cantico del Sole, è lo stesso che ha passato una parte della sua esistenza ritirato nella profondità e l’oscurità delle caverne, supplicando Dio, nella notte dell’anima, di volerlo purificare, illuminare, infiammare interiormente con il fuoco dello Spirito Santo (3 Let). *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 123 a 145.

Sorella nostra madre Terra

La Terra è qui celebrata come madre : ci sostenta e ci governa come una madre nutre i suoi figli. La sua fecondità si manifesta attraverso frutti di tutti i tipi. Dettaglio significativo : insieme ai frutti sono menzionati i fiori colorati e l’erba. La terra non si contenta di nutrire i suoi figli. Come una madre attenta, circonda di bellezza gli esseri che vivono accanto a lei.  

Ma cio’ che vi è di sorpendente nella maniera francescana di designare la terra, è il nome di sorella  che le è dato insieme a quello di madre. Per Francesco, la terra madre ha anche il volto di una sorella. Facendo questo, le offre una nuova giovinezza. Più profondamente, crea tra lui e la terra una nuova relazione. L’appellativo sorella dato alla terra non distrugge né indebolisce la sua maternità, ma ne segna il limite. Questo significa che, anche se la terra è nostra madre, quella da cui dipendiamo vitalmente, non è tuttavia la fonte assoluta dell’essere e della vita ; bensi’, ella stessa è una creatura, come le altre realtà cosmiche. E alla fine dipendiamo tutti dalla stessa origine trascendente, dal Padre che ha creato ogni cosa. In tal modo, la venerazione e la gratitudine che Francesco porta alla terra materna rimonta, attraverso questa, ad una fonte più alta : Tu sia lodato, o mio Signore, per nostra sorella madre Terra…  

Noi possiamo sempre essere tentati di vedere, nella vita di Francesco, soltanto il lato pittoresco, meraviglioso e tenero della sua vita e delle sue relazioni con le altre creature. Resta in memoria una gentile storia di uccelli, di un lupo o di coniglietti. Ed ecco il nostro eroe promosso a principe azzurro della creazione. Invece, e cominciamo ora a rendercene conto, le forze delle immagini create da Francesco scavano le profondità dell’essere ; esse vogliono trovare nell’essere, nello stesso tempo il primitivo e l’eterno. Osserviamolo mentre scala i contrafforti degli Appennini. Che cosa lo attira su queste cime ? E’ la superficie brillante delle cose ? Certamente no. Arrivato là in cima, cerca una grotta o un crepaccio per infilarvisi dentro. Il cavo di una roccia era il suo nido preferito, scrive Celano (1 C 71). Cosa curiosa : questo movimento materiale di Francesco traduce lo stesso movimento interiore che questi esprime nel suo cantico : uno slancio immenso verso l’alto (verso l’Altissimo), legato ad una discesa nelle profondità e ad una comunione con cio’ che vi è di più umile. Penetrare nella caverna per soggiornarvi, significa entrare in relazione con questo mondo sotterraneo e arcaico dell’anima, lasciandosi attirare dal mistero che abita in noi. In fondo alla caverna brilla sempre qualche tesoro prezioso. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 147 a 173.

Il perdono e la pace

A prima vista, non sembra esserci alcun legame tra questa nuova strofa e la precedente. I temi e le preoccupazioni non sono più gli stessi. Mentre l’intero poema, fin qui, era rivolto verso le realtà della natura e formava una lode cosmica, ecco che qui, brutalmente, si concentra sulle realtà umane, sul destino dell’uomo alle prese con i suoi simili, con la malattia e le prove di tutti i tipi. Anche l’atmosfera è un’altra. La lode degli elementi cosmici si svolgeva interamente sotto il segno di una fraternità senza nuvole e senza ombre ; la penultima strofa ci immerge, al contrario, in un mondo dove vi sono tensioni, conflitti e sofferenze.

Tuttavia, malgrado queste differenze, Francesco ha tenuto ad incorporare questa strofa nel suo Cantico delle Creature. Non c’è dubbio che per Francesco questi versi fossero consonanti con l’intera opera e che sgorgassero da una stessa ispirazione fondamentale. Non è forse una stessa volontà di riconciliazione che si esprime da una parte e dall’altra, là nella celebrazione fraterna degli elementi cosmici, qui nella lode del perdono e della pace ? Non si potrebbe rendere meglio la misericordiosa tenerezza di cui debordava il cuore di Francesco per tutti gli uomini, se non citando i consigli che dava ad un ministro dell’Ordine : …Per me, io vedro’ se tu ami il Signore, e se ami me, suo servitore e tuo, da questo : che non esista al mondo alcun fratello che, dopo aver peccato quanto ha potuto peccare, se incontra il tuo sguardo, non ritorni senza il tuo perdono se ha chisto perdono. Se non chiede perdono, tu chiedigli se vuole essere perdonato. E se in seguito pecca mille volte sotto i tuoi occhi, amalo più di me, per condurlo al Signore…   

E’ straordinario che questo canto che celebra la grande fraternità cosmica si prolunghi in una celebrazione del perdono e della pazienza eroica. La visione francescana di un universo fraterno non è l’evocazione nostalgica di un paradiso perduto. E’ la visione del mondo, dominata dal primato della conciliazione sullo strappo, dell’unità sulla scissione. Questa unità e questa pienezza sono da ricercarsi in una presenza più profonda a se stessi e agli altri.

La lode termina con una beatitudine : Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.( Beati coloro che le sosterranno in  pace, perchè da Te, Altissimo, saranno incoronati). L’uomo incoronato dall’Altissimo è l’uomo solare, misericordioso verso tutte le creature. Come il sole, egli brilla con un grande splendore. Come lui, è simbolo dell’Altissimo ed offre a tutti questa presenza totale, questo dono intero di se che non sono altro che l’espressione della presenza e del dono che Dio fa di se stesso in ogni istante e a tutti gli esseri. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 175 a 185.

Nostra sorella Morte

 Questa ultima strofa del Cantico del Sole è stata composta da Francesco nei giorni che hanno preceduto la sua morte, la sua pasqua. Si portava gioioso all’incontro con lei e la invitava da lui : Che mia sorella Morte sia la benvenuta, diceva (2 C 217). Questa strofa si apre, come tutte le altre, con uno slancio di lode. Ma qui lo slancio non prende più appoggio su una creatura, ma su quella che Francesco chiama nostra sorella Morte corporale. La caratterizza in un solo tratto : dalla quale nessun uomo vivente puo’ scappare. Strana sorella che ha il volto dell’implacabile necessità ! Tutto ad un tratto, l’espressione nostra sorella Morte corporale rivela il suo senso : quello di un incontro fraterno con la dura ed implacabile necessità di morire. Incontro vissuto e celebrato nell’« apertura » della lode, come un cammino verso il sacro.

Ora, Francesco fraternizza senza la minima angoscia con questa necessità crepuscolare, cosi’ come fraternizza con il sole. Se uno non conoscesse Francesco, potrebbe vedere in questo saluto fraterno soltano la chiamata dell’agonizzante alla liberazione dai suoi mali intollerabili. Ora, non è affatto questo. Lungi dal significare il desiderio di farla finita con l’esistenza, salutando la morte come una sorella, Francesco si apre ad una dimensione che non puo’ circoscrivere e alla quale si apre solamente con un atto di abbandono totale del suo io. In lui si verifica cio’ che chiedeva ai suoi fratelli : Non tenete per voi niente di voi, affinché vi riceva tutti interi Colui che si dona a voi tutto intero (3 Let 29). Abbandonato il proprio ego, Francesco è completamente aperto all’Essere. Il Cantico delle Creature si trova ad essere, in tal modo, l’espressione di una conversione radicale. Il centro di gravità dell’esistenza si è spostato : non si situa più nell’io e nei suoi interessi particolari, fossero anche spirituali ; si situa nel mistero dell’Essere.

L’uomo che si è cosi’ rimesso all’Essere vede tutte le cose nell’ « aperto » dell’Essere, compresa la morte. Costei non è più per lui la straniera e la devastatrice. Essa è tale solo per l’uomo ripiegato su se stesso : guai a quelli che morranno in peccato mortale. Il peccato mortale, il peccato che dà la morte all’anima è precisamente questa chiusura dell’io cosciente su se stesso e sulla sua individualità, è questo possesso di se ad ogni costo. L’uomo che si taglia in tal modo dall’Essere è morto spiritualmente.

Per benedire la morte e la sua necessità, bisogna essere cresciuti secondo il modo di essere dell’Eterno : beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male (beati quelli che sorprenderà nella Tua santissima volontà, perché la seconda morte non potrà far loro del male). Colui che ha accettato di abbandonare se stesso e di rimettersi all’Essere e al suo disegno creatore, è già find’ora immerso nell’Eterno. Non vive più una vita separata. Partecipa alla vita stessa dell’Essere. E’ aperto alla grande speranza. L’Eterno stesso è la sua speranza : Tu sei la nostra speranza, … tu sei la nostra vita eterna, canta Francesco nelle sue lodi di Dio (L Leo 6).

Francesco puo’ guardare il sole e la morte con lo stesso sguardo fraterno e con la stessa allegria del cuore. Attraverso l’uno e l’altro, è lo stesso mistero dell’Essere che gli parla e che egli celebra. Ma la morte gli sembra tale soltanto perché egli ha innanzitutto accettato, in grande umiltà, di fraternizzare con il sole e con tutte le creature e che, attraverso il contatto meravigliato con queste, ha appreso a scoprire nella necessità di « quaggiù » la figura dell’Altissimo. In questa luce appare il legame profondo e nascosto che unisce l’ultima strofa del cantico all’insieme dell’opera. Questa strofa mette il sigillo dell’Eterno sulla lode cosmica. Il cammino delle creature è anche un cammino di eternità. *  Ibid E. LECLERC, estratti delle pp. da 187 a 197.  

Lodate e benedite il mio Signore

Questa formula conclusiva potrebbe quasi passare inosservata. Tuttavia merita che ci fermiamo qualche istante.

Abbiamo visto che l’inizio di ogni strofa del Cantico delle Creature testimonia, senza ambiguità, che questo cantico si rivolge all’Altissimo : Tu sia lodato, o mio Signore. Il Signore è il « destinatario » della lode di Francesco. Ora, se il Cantico delle Creature è l’espressione della sua preghiera e se traduce, ugualmente, il cammino della sua anima, Francesco non vuole terminare la sua lode senza invitarci a prenderne parte : Lodate e benedite il mio Signore. Queste ultime righe si rivolgono a noi, le altre creature, i suoi fratelli e le sue sorelle. Ma anche se questo invito si rivolge a noi, è interamente orientato verso il Signore : ringraziatelo e servitelo.      

E, come coronamento, Francesco riassume in tre parole l’atteggiamento indispensabile da adottarsi nella lode e nel servizio del Signore : con grande umiltà. Nessuna lode del Signore puo’ essere autentica se non si accompagna, da parte di colui che la pronuncia, di un’umiltà vera. Nessun servizio liturgico puo’ essere gradito a Dio se non traduce, alla base, l’umile riconoscimento che ogni bontà viene dall’Altissimo. Ricordiamoci la parabola del fariseo e del pubblicano che salgono entrambi al Tempio per pregare. Tutti e due cominciano la loro preghiera allo stesso modo : O Dio, io ti rendo grazie. Ma il fariseo, in piedi nel tempio, mette immediatamente da parte Dio nella sua preghiera mettendo in valore se stesso : Io non sono come gli altri… Io digiuno…, Io pago… Il pubblicano, quanto a lui, si tiene in disparte e non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo. Battendosi il petto, si riconosce povero, piccolo e peccatore : Oh Dio, perdona al peccatore che io sono ! E Cristo conclude la parabola : Io vi dico : questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato  (Lc 18  9-14).

San Bonavventura, nella sua Légenda Major, ci riporta l’umiltà di Francesco, calcata sull’umiltà del Redentore, nostro fratello : L’umiltà, salvaguardia e parure di tutte le virtù, sovrabbondava nell’uomo di Dio. Ai suoi occhi, non era niente meno che un peccatore, ma in realtà era lo specchio risplendente de ogni santità. Come un saggio architetto che comincia dalle fondamenta, mise tutta la sua applicazione ad edificare solo su di esse, conformemente all’insegnamento di Cristo : « Se il Figlio di Dio – diceva – è sceso da tutta l’altezza che separa dalla nostra abiezione il seno del Padre, è per insegnarci l’umiltà, lui Signore e Maestro, attraverso la parola e l’esempio… » (LM 6 1).

RISPETTO DELLA CREAZIONE

Articolo 18.

Che rispettino anche le altre creature, animate e inanimate, perché « esse portano significazione del Dio Altissimo *  1 C 80. » ; che cerchino di passare dalla tentazione di abusarne ad una concezione francescana di fraternità che si estende a tutto l’universo.  

Che rispettino le altre creature

Ma quali sono dunque le altre creature citate in questo articolo della nostra regola ? Notiamo che questo articolo segue immediatamente quello che tratta della famiglia. Questa situazione è importante perché dà il chiarimento necessario per capire quali sono le creature considerate da questo famoso articolo 18. Siccome nell’articolo precedente si tratta della famiglia e, più precisamente, degli sposi e dei figli, sono innanzitutto queste creature, sposi e figli, che sono considerati e, con loro (anche) le altre creature. Bisogna quindi intendere questo nuovo articolo in un senso molto largo : tra le creature animate *  « Animato », dal latino animare, da anima, soffio vitale., noi troviamo quindi, certamente, il mondo animale e vegetale verso il quale il nostro spirito si porta spontaneamente ; ma, in testa alle creature animate, troviamo la nostra propria famiglia e l’umanità intera. Il Cantico di Frate Sole, con la sua strofa sul perdono e sulla pace, apparentemente cosi’ lontana dalla lode cosmica che la precede, ci introduce in modo luminoso in questa visione delle cose.  Per il seguito della meditazione di questo articolo della nostra regola, bisognerà incessantemente tener conto di questo, senza tuttavia escludere le altre creature animate.  

Le creature inanimate, quanto a loro, sono quelle che non hanno vita o che, data la loro immobilità, sembrano non averne. Si tratta, quindi del mondo minerale. Non è forse sorprendente che veniamo invitati ugualmente al rispetto delle creature inanimate ? E del resto, ci è possibile mancare di rispetto al sole, alla luna, all’acqua, … ? Nei due paragrafi seguenti avremo gli elementi di risposta a queste domande.

Discepoli di San Francesco di Assisi, avremmo potuto immaginare che la nostra regola ci invitasse a cantare la Creazione attraverso il Cantico di Frate Sole. Nulla di tutto questo, in ogni caso, apparentemente. Ma la nostra regola ci invita a cantare l’Altissimo in un modo particolarmente concreto : rispettando le altre creature. Fare questo è cantare il Creatore nella nostra vita di tutti i giorni. Ma cosa è, quindi, il rispetto ?  

Nella lingua francese, il rispetto ha numerose definizioni. Se si escludono quelle che non hanno chiaramente alcun rapporto con il contesto dell’articolo della nostra regola, ve ne sono tuttavia due che sono in misura di illuminarci pienamente : la prima di esse definisce il rispetto come l’atteggiamento che consiste a non arrecare danno a qualche cosa ; arrecare danno a qualche cosa è l’azione che causa un pregiudizio morale o materiale a questo « qualche cosa ». Nel contesto del nostro articolo, rispettare la creazione alla luce di questa prima definizione consiste dunque a non effettuare alcuna azione pregiudiziabile alle altre creature, sia moralmente, sia materialmente. Rispettare moralmente il prossimo è, per esempio, non dire male di lui : Francesco fuggiva come il morso di un serpente o di una temibile epidemia la maldicenza, mortale per la pietà e la grazia, oggetto di abominazione per il buon Dio – diceva – poiché il maldicente si ciba del sangue delle anime che ha ucciso usando la sua lingua come una spada (LM 6 4).

Rispettare materialmente la natura è, per esempio, tener conto della sua capacità a vivere e a riprodursi, ossia non causarle il pregiudizio di sparire dalla faccia della terra. Quando i suoi fratelli andavano a far legna, Francesco vietava loro di abbattere il tronco, affinché questo potesse dare delle fronde novelle (2 C 165). Francesco seguiva in questo l’istruzione divina che si trova nella Genesi, che non ha alcuna ambiguità su rispetto dovuto alla creazione :  Dio benedisse l’uomo e la donna e disse loro : siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e sottomettetela  (Gn 1 28). Il « sottomettetela » riferito all’uomo dal nostro Creatore non significa in alcun modo che l’uomo possa « distruggere » la terra, ma vuol dire che la terra è messa, da Dio stesso, « al servizio » dell’uomo. Torneremo un po’ più avanti su questa nozione.

La seconda definizione del rispetto consiste in quel sentimento di venerazione che si rende a Dio o a cio’ che è sacro. Si trova nel seguito dell’articolo della nostra regola che, ora vedremo, si applica perfettamente a questa seconda definizione.  

Poiché esse portano significazione del Dio Altissimo

Possiamo rispettare le altre creature perché sono utili o anche perché sono belle.  Questi motivi sono molto lodevoli, ma insufficienti. Le creature, create da Dio, devono essere rispettate poiché esse portano significazione del Dio altissimo. In effetti, come precisa il Catechismo della Chiesa cattolica *  CEC 41., le creature portano tutte una certa rassomiglianza con Dio, specialmente l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Le multiple perfezioni delle creature (la loro verità, la loro bontà, la loro bellezza) riflettono quindi la perfezione infinita di Dio. Tra l’altro, noi possiamo nominare Dio a partire dalle perfezioni delle creature, poiché la grandezza e la bontà delle creature fanno, per analogia, contemplare il loro Autore (Sg 13 5). Ma, cosi’ come Francesco non divinizzava le creature, riconosciamo a nostra volta che Dio è infinitamente più grande che le sue opere : La sua maestà è più alta dei cieli (Ps 8 2), la sua grandezza non ha misura (Ps 145 31).

Francesco, cantando messere frate Sole, vede in lui il simbolo dell’Altissimo. Francesco vede questa significazione di Dio Altissimo attraverso le creature appena apre gli occhi, appena volge la sua anima verso una creatura : E quando doveva camminare su delle pietre, lo faceva con timore e rispetto, per amore di colui che è chiamato : La pietra *  1 Co 10 4 : …bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo.» (LP 51).

La tentazione di abusarne

L’uso misurato e ordinato di una cosa non è un atto condannabile in se. Per esempio, il consumo di vino non è cattivo in se, basta che se ne faccia uso nella giusta misura. Ma abusare è l’uso negativo, l’eccesso, l’esagerazione, l’oltranza. La tentazione a cui soccombe l’ubriaco è, alla fine, il fatto che non ricerchi né voglia nessun altro bene per se stesso se non la bottiglia. Abusare di una cosa non è quindi soltanto una perversione della volontà (come soccombere alla tentazione del bere, per riprendere il nostro esempio), ma anche una perversione del giudizio (il male, agli occhi dell’ubriaco, è la fonte di acqua fresca). Partendo da questo punto, interroghiamoci quindi su cio’ che si deve intendere per tentazione di abusare della creazione. Ma, prima di rispondere a questa domanda, ricordiamo brevemente il perché della creazione *  Possiamo forse rileggere qui con profitto le prime pagine del capitolo I di questo manuale di formazione, intitolate IN PRINCIPIO..

Dio è amore ed è infinitamente buono. «Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà (« E Dio vide che era cosa buona [...] cosa molto buona »: (Gn 1,4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come un’eredità a lui destinata e affidata. *  CEC 299. ».

L’uomo, messo a capo della creazione, doveva, nella sua risposta di amore a Dio, riportare con se verso Dio tutto il creato. Adamo ed Eva, rifiutando quest’ordine e volendo « essere come Dio », sviarono tutta la creazione dal suo fine, appropriandosene. Conseguenza immediata di questo peccato: allontana l’uomo da Dio. E, a seguito della loro rottura con Dio, la cupidigia rimpiazza nel cuore dell’uomo e della donna l’amore che portavano l’uno per l’altra. L’uomo aveva dapprima visto nella donna l’osso delle sue ossa e la carne della sua carne (Gn 2 23). A due amori nei quali la Genesi mostra l’anima e la molla della vita familiare (Gn 2 23-24), succedono ora due egoismi : Verso tuo marito sarà il tuo istinto,ma egli ti dominerà (Gn 3 16) *  Ibid André Feuillet, Histoire du Salut de l’humanité d’après les premiers chapitres de la Genèse,(Storia della Salvezza dell’umanità secondo i primi capitoli della Genesi), estratti delle pp. da 77 a 79..

Ora, Gesù Cristo, che è venuto a ristabilire ogni cosa, parla ai suoi discepoli della sua venuta nella gloria e del giudizio universale (Mt 25 31-46) ; Ricorda loro, innanzitutto, che sono benedetti da suo Padre e che riceveranno in eredità il regno preparato per loro fin dalla creazione del mondo. Cristo dà i motivi per cui uno riceve questa eredità : Poiché avevo fame e mi avete dato da mangiare ; avevo sete e mi avete dato da bere…   E’ qui il modo che ci indica per riportare a Dio, con lui, tutto il mondo creato. E quando i giusti lo interrogano : Signore, quand’è che ti abbiamo visto… ? quando avevi fame e ti abbiamo nutrito ? quando avevi sete e ti abbiamo dato da bere ?...  il re risponde loro : Amen, io vi dico, ogni volta che avete fatto questo ad uno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me.

Abusare della creazione significa sviarla dalla sua finalità. Questo sviamento è un furto. Possiamo, per inciso, citare Pascal : « l’inclinazione verso di dé è l’inizio di ogni disordine.» Il Signore ci dice : Non rubare (Ex 20 15), Non rubare (Mt 19 18). Il settimo comandamento non riguarda soltanto cio’ che si intende tradizionalmente per furto, ossia l’atto che ha per effetto il sottrarre ad un essere un bene che gli appartiene ; prescrive ugualmente la giustizia e la carità nella gestione dei beni terreni e dei frutti del lavoro degli uomini. Chiede, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni. Il Vangelo del giudizio finale ci indica chiaramente cosa ci attende se sviamo la creazione dalla sua finalità : Andate via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Poiché io avevo fame e non mi avete dato da mangiare ; avevo sete e non mi avete dato da bere…  E se noi risponderemo : Signore, quando ti abbiamo visto avere fame e sete ?... Egli ci risponderà : Amen,io vi dico, ogni volta che non l’avete fatto ad uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me.  

Non esitiamo ad andare fino in fondo nella ricerca del Signore contenuta in questa pagina del Vangelo : avevo fame e sete (della vostra anima), e voi non me l’avete offerta. L’anima umana, umile e offerta alla volontà del Padre, è la cima della creazione divina. Questa offerta della nostra anima alla volontà del Padre è, dopo l’Eucarestia, la più bella offerta che possiamo presentare al nostro Dio Creatore, Redentore e Salvatore.  

La concezione francescana di fraternità che si estende a tutto l’universo

Abbiamo consacrato numerose pagine di questo capitolo a scoprire il Cantico di Frate Sole. Queste pagine, essenzialmente estratte dal libro di frate Eloi LECLERC sul Cantico delle Creature, costituiscono il commento di cio’ che si deve intendere per concezione francescana della fraternità che si estende a tutto l’universo. Aggiungiamo semplicemente queste linee (anch’esse di frate Eloi) :

Questo cantico che unisce lo slancio verso l’Altissimo alla comunione fraterna con tutte le creature costituisce uno dei punti essenziali del messaggio francescano. La vita spirituale non sarebbe in grado di costruirsi al di fuori della natura e facendo astrazione da essa ; non sarebbe in grado di edificarsi al di sopra della parte oscura del nostro essere, nel disprezzo delle nostre radici cosmiche e psichiche. Essa non puo’ essere altro che una crescita totale, in un’apertura verso tutto cio’ che è. L’uomo che vuole rinascere dallo Spirito deve accettare di fraternizzare con l’acqua. E non soltanto con l’acqua, ma anche con il fuoco, con il vento, con la terra… Deve fraternizzare, nella meraviglia e nel canto, con tutte le creature. Anche con la notte e i suoi chiarori oscuri. Deve accettare di penetrare sotto la roccia, nella grotta segreta e ombrosa, per vedere il Bambino divino che si sveglia tra il bue e l’asinello. Il Cantico delle creature celebra questa nascita divina nelle profondità dell’uomo.

Allora non stupiamoci se questa lode cosmica si trasforma alla fine in una celebrazione del perdono e della pace. Il fratello del sole, del vento, dell’acqua e di tutte le creature è diventato un uomo meravigliosamente umano : Che tu sia lodato, o mio Signore, per quelli che perdonano per il tuo amore. Beati coloro che, in mezzo alle prove e alla malattia, restano nella pace ! La pace, il perdono ! Ecco i segni certi della nuova nascita. Ogni disprezzo ed ogni aggressività sono spariti. Ed anche ogni turbamento. Si sa che per Francesco il turbamento dell’anima e l’irritazione sono i segni di una possessione segreta di se ; indicano che l’uomo, nel profondo di sé è condotto da qualche cosa d’altro che lo Spirito del Signore (Adm 4, 13, 14). L’uomo che ha veramente parte allo Spirito del Signore non si turba e non si irrita di niente, nemmeno del peccato altrui (Adm 11, 15, 27, 2 Reg 7, 1 Reg 5).

La comunione francescana con la natura si presenta quindi come un cammino di riconoscenza, nella doppia accezione del termine : nello stesso tempo azione di grazie ed esplorazione della presenza divina nella propria anima. L’universo che Francesco celebra nasconde un tesoro. La sua lode si sforza di trarre alla luce questo tesoro. Una presenza vivente, al contempo misteriosa e intima, abita tutte queste cose preziose. Fraternizzando nella meraviglia con il sole, la luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco e la terra, Francesco esplora, paradossalmente, le proprie profondità intime.  

L’uomo moderno deve capire che, nella sua azione sulla natura, ha a che fare, inconsciamente, con se stesso, con la parte più segreta di sé e anche con la più determinante. Secondo la maniera in cui l’uomo tratta il suo prossimo o le altre creature, si apre o si chiude alle proprie profondità. Non vi puo’ essere per lui una riconciliazione vera e totale con se stesso e con i suoi simili senza una fraternizzazione con la natura stessa. Non si tratta, qui, di un semplice atteggiamento sentimentale, ma di un’esperienza difficile che impegna tutto l’uomo a partire dalle sue profondità incoscienti per arrivare fino alla sua relazione con la Trascendenza. Fraternizzare con tutte le creature, con tutto l’universo, come fa Francesco di Assisi è, in definitiva, optare per una visione del mondo in cui la conciliazione vince sulla divisione ; è aprirsi, oltre tutte le separazioni e tutte le solitudini, ad un universo di comunione in cui il « mistero della terra si riunisce al mistero delle stelle », in un soffio immenso di perdono e di riconciliazione. *  Ibid. E. LECLERC (per l’essenziale di queste righe), estratti delle pagine 229, 232, 234 e 235.  

DOMANDE

Ho memorizzato bene ?

  1. Rileggendo il § di questo capitolo intitolato « In principio era il Verbo » e tenendo in memoria il Cantico delle Creature, posso rilevare delle analogie tra i due testi ?
  2. Il Cantico delle Creature di Francesco è un cantico di lode rivolto all’Altissimo. Ma esprime anche un’altra cosa. Che cosa è questa « altra cosa » ?
  3. La nostra regola ci invita a rispettare le creature. Ma quale motivo adduce per giustificare un tale rispetto ?

Per approfondire

  1. La liturgia fa appello ai nostri sensi per parlare dell’Altissimo e per rivolgerci a Lui, … « Il cero rimanda alla fiamma a cui è destinato. Non è un’offerta che si conserva intatta, è un’offerta destinata a consumarsi per dare la luce intorno a sé. Sacrificio di sé, luce per gli altri, ecco cio’ che vuole significare il cero. » (Il nostro Sovrano Pontefice Paolo VI, 2 febbraio 1967). Posso approfondire i simboli e la mistica della messa : qual’è il simbolo e (o) qual’è la funzione dell’altare, dell’incenso, del tabernacolo, dell’ambone, del calice, dei ceri, della stola, della casula, … ?
  2. Abbiamo visto che il qualificativo « prezioso », utilizzato nella strofa della luna e delle stelle, rinvia discretamente al sacramento eucaristico. In effetti, ogni strofa (ve ne sono dieci, in totale, nel Cantico) rinvia discretamente al sacramento eucaristico : o ad una delle tre persone della Trinità, o ad uno dei sette mezzi di salvezza che sono i sacramenti (e non vi sono doppioni!). Posso cercare di scoprirli, in modo da esercitare il mio sguardo a vedere, attraverso le creature, la significazione di Dio Altissimo ?
  3. Povera piccola creatura debole e miserabile, io « metto » sovente Dio « alla porta » della mia anima non rispettando le altre creature. Posso, con grande umiltà, cercare di identificare che cosa non va nel mio comportamento nei confronti delle altre creature animate e inanimate. Con l’aiuto della Santa Grazia, quale (i) risoluzione(i) concreta(e) posso prendere oggi per « generare » Cristo attraverso delle buone azioni che devono essere per gli altri una luce ed un esempio (1 Let 10) ?
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Realizzato da www.pbdi.fr Illustrazione di Laurent Bidot Traduzione : Elisabetta Daturi